Commemorazioni

                       

                 i  Carabinieri Paracadutisti nella battaglia di Eluet el Asel

                                                                                      

                                                                              Maggiore Edoardo Alessi

 

Dopo l’8 dicembre 1941 l’armata corazzata Italo tedesca iniziò la ritirata verso la Tripolitania, combattendo metro per metro con le retroguardie e parando i colpi delle colonne mobili che per vie interne (piste minori del deserto) cercavano di tagliare la strada litoranea. Proprio per la loro mobilità erano forze minori, in genere autoblindo o camion armati, che al contatto con reparti ordinati e organizzati soccombevano sempre. Più facile per loro era assalire colonne di rifornimento e piccole unità. Tutti i reparti delle retrovie che svolgevano pattugliamento, controllo del territorio e delle coste vennero messi in preallarme per costituire posti di blocco sulle rotabili e centri di fuoco sulle piste. Di creare una nuova linea di difesa, mentre la fiumana di uomini e mezzi defluiva, non si parlava. L’importante in quel momento era avere il serbatoio pieno. Quello che non si riusciva a trasportare veniva incendiato e distrutto. E’ in questo momento (14 dicembre) che il 1° battaglione Carabinieri paracadutisti, al comando del maggiore Edoardo Alessi, riceve l'ordine di attestarsi sul bivio di Eluet el Asel, a sud di Berta, e di resistere ad oltranza. Sono solo 400 uomini, rinforzati da 6 cannoni controcarro da 47/32 mm dell'8° bersaglieri 9° compagnia del ten. Coglitore, dotati di bombe Passaglia e di una settantina tra fucili mitragliatori e mitragliatrici. (Ci vuole arte e fegato per usare le Passaglia. Bisogna correre verso il tank sferragliante, che distribuisce morte tutt’intorno, evitare di finire sotto i suoi cingoli, lanciare la bomba sul vano motore e buttarsi a terra. Quando l'ordigno penetra dentro il carro, succede l'ira di Dio: le fiamme divampano, il liquido idraulico schizza rovente per ogni dove e le munizioni saltano, se ci arrivi!!!). Il battaglione è rinforzato anche da guastatori e da un plotoncino di paracadutisti libici (20 uomini). Un plotone della 9° di Coglitore viene distaccato al “battaglione provvisorio” Barce, costituito con uomini delle retrovie che si posiziona a Est del dispositivo di difesa. Il grosso dell’Ariete stava transitando sulla Balbia per portare in salvo i pochi mezzi rimasti. A sera il battaglione Barce viene ritirato inaspettatamente, così come vengono ritirati i genieri che dovevano approntare le opere campali di difesa. Il Genio oltre che demolire costruiva anche. Nella notte sul 19 il tenente dei carabinieri Fanelli comunicava che sulla pista di Chaulan, a circa 2 chilometri dalle posizioni, si era attestato uno scaglione inglese composto da circa venti automezzi, molti cingolati e alcuni carri armati; altri mezzi erano in movimento a distanza imprecisata. Si trattava dei mezzi della 5 Brigata della IV Indiana di fanteria. Alle 5,55, mattina del 19, i cannoni controcarro inquadrano il facile bersaglio di cinque camionette cingolate. E’ l'inizio di uno scontro violentissimo, che si apre con il tambureggiante fuoco di preparazione dell'artiglieria inglese. Fallito lo sfondamento, gli inglesi attaccano, subito dopo, da Sud e Sud-Ovest, (ala destra dello schieramento). Alle 15,15 il nemico lancia un attacco da zona pianeggiante, ma il maggiore Alessi li ha preceduti piazzando due dei suoi cannoni. Il 47/32 aveva tutte le migliori qualità, ma il difetto che gli italiani se lo trascinavano a spalla non avendo mezzi a cui agganciarlo o caricarlo. Il combattimento si sviluppò accanito, fra attacchi e contrattacchi, per oltre tre ore. Nel frattempo due Compagnie inglesi iniziavano un ampio movimento aggirante verso destra, puntando sui rovesci di quota 639. Si imponeva necessariamente una contromanovra in grado di parare la minaccia di aggiramento alle spalle che avrebbe precluso il successivo sganciamento. I Carabinieri irruppero sulle due Compagnie avanzanti e, sfruttando ogni utile appiglio del terreno, le investirono con le bombe a mano e col preciso tiro dei fucili mitragliatori e delle armi individuali. L'azione fu così immediata e violenta che gli inglesi, sorpresi e sconcertati, dovettero arretrare. Da quel momento, il crepitio delle armi automatiche inchiodò i fanti inglesi sul terreno costringendoli a regredire di roccia in roccia, progressivamente, fino al fondo dell'uadi dal quale erano saliti. Lo sganciamento, dopo aver distrutto le armi pesanti sul posto, venne attuato col buio (alle 18,30 del 19), lasciando 40 carabinieri coi Tenenti Mollo, Solito e Grilli sul posto. L’ordine era di tenere la posizione fino alle 22 simulando ancora la presenza dei carabinieri poi sganciarsi. Il battaglione Barce già la sera precedente sulla Litoranea era incappato, nel movimento retrogrado, in un blocco a Lamluda. La fila dei camion (10) all’incrocio con la litoranea svoltò a Ovest verso Bengasi. Alle 20,30 il primo blocco a Lamluda. Questi blocchi erano attuati a trappola, poiché superato anche facilmente il primo, ci si trovava subito davanti al secondo e si era finiti in mezzo a una sparatoria in testa e coda. Il magg. Alessi, sui primi camion, impegnò subito combattimento e il frastuono raggiunse anche la coda dov’era Coglitore (i camion viaggiavano molto distanziati). Dopo 2 ore per superare l’ostacolo la colonna si rimise in marcia. Fatti 800 metri ecco il terzo blocco. Erano ormai le 22,30. I primi camion passarono ai lati della boscaglia, poi il quinto saltò su una mina bloccando il resto della colonna. I quattro camion superstiti (91 uomini) raggiunsero la sera del 20 Agedabia dopo aver fatto rifornimento in una Bengasi abbandonata. Dei 40 carabinieri lasciati a Eluet, 23 non riuscirono lasciare la posizione in tempo per il ricongiungimento e dovettero mimetizzarsi con gli italiani della fattorie circostanti il villaggio Berta. Il ten Coglitore sbarcati dai camion Bersaglieri e Carabinieri si diresse verso nord, verso Apollonia. Marciarono tutta la giornata del 20, evitando accuratamente le pattuglie inglesi, sostando solo alcune ore nella notte affranti dalla stanchezza. All’alba del 21 erano ad Apollonia dove un colono li informò che era impossibile ormai giungere alle linee italiane. Non restava che mimetizzarsi fra i coloni del villaggio Luigi di Savoia poco lontano sulla Balbia. Con le colonne inglesi che vi transitavano, non ebbero molte difficoltà a raggiungere le fattorie. Erano 150 uomini, dei quali 60 Carabinieri vestiti in borghese che si preparavano a vivere alla macchia, seminascosti. Per 43 giorni attesero la nuova zampata di Rommel che arrivò puntuale il 6 febbraio 1942. Gli arabi nomadi, in mancanza di una forza di Polizia, si erano scatenati contro i coloni e solo l’aiuto e le armi dei soldati valsero a salvarli. Caddero in azione alla fine di gennaio Mario Benna Zenit e il colono Luigi Romano. Rimase ferito il Carabiniere Giulio Amadei. Sempre da questo nucleo vennero attuate operazioni di sabotaggio a strutture militari inglesi. I carabinieri nell’intera operazione avevano perso 31 uomini, 37 feriti e 250 dispersi (fra prigionieri e scampati alle fattorie). A fine febbraio, coi superstiti del battaglione, si costituirono i nuclei delle Caserme dell’Arma che,  anche dopo El Alamein, continueranno ad operare con funzione d’ordine pubblico sotto il comando inglese . Il ten. Coglitore ebbe di nuovo un suo reparto (cannoni controcarro da 47/32) il 12 marzo. Il Battaglione Carabinieri Paracadutisti per lo splendido comportamento guadagnò all'Arma una Medaglia d'Argento al Valor Militare assegnata il 14 giugno 1964. 5 Medaglie d'Argento al V.M., di cui 4 alla Memoria, sei Medaglie di Bronzo al V.M., di cui una alla Memoria ai singoli, fu il consuntivo delle decorazioni concesse. I 5 Argenti ai carabinieri Amadei Giulio, Benna Zenit Mario, Caravaggi Mazzon Luca, Celi Antonio e Madau Alfredo.

 

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