Nuovi capitoli in "Le mille e una favola" e "Alla ricerca dei relitti perduti"

        

 

I BERSAGLIERI IN AFRICA SETTENTRIONALE

 

Il nemico inglese ad un certo momento esprime la sua “stupita ammirazione” per i fanti piumati che il nostro Stato Maggiore riafferma essere “espressione purissima delle virtù guerriere dell’Italica stirpe” capace, in un continuo contatto con un nemico più forte, di opporre alla maggiore forza, la “fermezza stoica alla implacabilità, i petti al piombo avversario”.

Si battono le truppe italiane precedute dai bersaglieri che sono trascinati nelle lotte dalle ombre gloriose e dagli incitamenti dei padri che già conobbero un tempo gli eroismi di Sciara-Sciat, di Sidi el Messri, di el Mergheb. Si battono sotto il soffocante ed accecante alito del ghibli, madidi di sudore, bramosi di una gavetta d’acqua, supremo bene, con i loro mezzi che suscitano sempre l’altezzosità dell’alleato o la sufficienza dell’avversario, fino a che non si tramutino, questi sentimenti in stupefatta considerazione per la genialità dello spirito “italiota”capace di lanciare, in una battaglia di grossi Sherman, qualche decina di scassati autocarri trascinati da grosse fascine di sterpi legnosi atti a sollevare imponenti nuvole di sabbia che maschera la scena e induce il nemico a ben più riflessivi atteggiamenti.

Nonostante la sbalorditiva impreparazione, i madornali errori operativi, organici e logistici, la enorme inferiorità dei mezzi di trasporto e il deficiente armamento in numero, velocità nei confronti degli inglesi, le truppe italiane si batterono con insuperata dedizione e inimitabile coraggio.

 

 

 

Siamo alla prima campagna libica. All’alba del 13 settembre 1940 i primi reparti del che varcano il confine Marmarico e sfrecciano verso oriente sono due compagnie di bersaglieri, la prima vanguardia del XXIII C.A. e la seconda vanguardia della 1° Div. Libica.

Quando dopo il guizzo iniziale le nostre forze armate nel dicembre 1940 sono sopraffatte nel deserto di Sidi el Barrani  dall’Armata meccanizzata britannica del Gen. Wavell, ad Alam el Nibeiwa il soldato di ferro, generale (bersagliere) Pietro Maletti, Comandante del “Raggruppamento Celere”, incita contro le schiaccianti forze motocorazzate i suoi uomini ignudi. Suo primo ordine: “morire sul posto”, così come sul posto morirà il plotone di bersaglieri motociclisti addetti al suo comando.

La battaglia si fa feroce, gli italiani attaccano alla baionetta, ma la manovra inglese di avviluppamento induce alla ritirata. Il ripiegamento prima a Derna, poi alla Sirtica si svolge sotto l’incalzare di un nemico provvisto di mezzi moderni, in condizioni ambientali proibitive, fra disagi inenarrabili.Un dramma, cade Bardia; Tobruk e Derna perdute, Bengasi abbandonata al suo destino.

Cinque volte più forte, il nemico è tuttavia costretto per circa, a seguire il passo davanti al magnanimo eroismo del presidio di Tobruk, di cui fa parte, con la Div. “Sirte”, la 22° Cp. Bersaglieri Motociclisti, che a El Aden oppone “accanita resistenza”.

Del 10° Bersaglieri, che ha tentato di arginare con indomito coraggio la marea di mezzi motorizzati e corazzati, pur sommerso, giungono a Tripoli i gloriosi resti. La disperata gesta del Reggimento è simboleggiata a Ghemines-Agedabia dal Sottotenente Oreste Toscano, Medaglia d’oro, al quale verrà reciso la mano destra.

Intanto che, frantumata l’Armata del Maresciallo Graziani, la 7° Div. Corazzata, la 16° Brg. Motorizzata e la 6° Divisione australiana si apprestano a sboccare dalla zona Sirtica in Tripolitania, sbarcano a Tripoli due Div. Corazzate tedesche e, il 24 gennaio, la Div. Corazzata “Ariete”, della quale fa parte l’8° Rgt. Bersaglieri. Per arginare l’inondazione nemica, il Comando Superiore Forze Armate A.S., mette a disposizione del Gen. Rommel, Comandante dell’Afrika Korps, La Div. Corazzata “Ariete”, la Div. Motorizzata “Trieste”, alla quale aggrega la 1° Cp. Cannoni del 7° Bersaglieri (aviotrasportata dall’Italia), e la Div. “Trento”, con la quale opererà il 7° Rgt. Bersaglieri.

Sotto il tormento del ghibli, s’inizia la riconquista della Cirenaica. Al primo colpo di testa, con una felice manovra di aggiramento Rommel riesce a travolgere ed insaccare, con il Corpo corazzato, ragguardevoli forze dell’Armata di Wavell. Alle dipendenze del C.A. Tedesco, cominciano così le fortunose gesta dell’8° Bersaglieri, uno dei protagonisti del vittorioso balzo verso Oriente.

Dopo le tappe di Homs, Misurata, Sirte, il Reggimento del Col. Montemurro ha il battesimo del fuoco a El Mechili (sud di Derna). Il 6 aprile, la colonna del Ten. Col. Fabris (3° Btg. Moto, 142° Cp. Cannoni da 47/32, 2° batteria art. del 137° rgt., sezione mitragliatrici da 20mm), che precede la colonna “Montemurro” (Cp. Comando, 12° Btg. Autotrasportato, 72° Cp. Cannoni da 47/32, 1° batteria del 132° Art., 2° sezione mitragliatrici dal 20mm), prende contatto con gli elementi avanzati nemici e inizia l’aggiramento. Il giorno dopo (7 aprile), alle ore 15, la colonna “Montemurro” completa l’avvolgimento.

Ricevuto l’ordine di Rommel di conquistare El Mechili,all’alba dell’8 aprile, erano già in atto i preparativi per l’azione sincronizzata delle due colonne dell’8, della colonna celere “Santa Maria”e di elementi corazzati della 5° Divisione tedesca. Il nemico già stretto nell’accerchiamento tentò una pericolosa manovra. Una formazione motorizzata (2 reggimenti indiani) compiuto un largo movimento aggirante, era piombata a tergo della colonna “Fabris” mettendola in serio pericolo. Pericolo scongiurato dallo stesso Montemurro che lanciò sul fianco del nemico due reparti di motomitraglieri, minacciandolo a sua volta di aggiramento, mentre sull’altro fianco rovesciava il fuoco della batteria da 75/27 e delle armi controcarro, che aprivano il passo ai bersaglieri del XII Battaglione, piombati con estrema decisione sul nemico.

In questo settore la lotta fu brevissima, gli inglesi alzarono bandiera bianca e lo stesso Gen. Perry, che li comandava, si arrese di persona al Comandante dell’8° Bersaglieri, Col. Montemurro. La portata del successo fu notevole: oltre al Gen. Perry , altri due Generali catturati, due Colonnelli col grado di Generale, 60 Ufficiali e circa 2700 prigionieri con un grosso bottino.

Gli avvenimenti libici  acquistano un ritmo rapido e felice. Le truppe inglesi e imperiali non catturate sono in fuga verso l’Egitto. Oltrepassate El Mechili ed Ain el Gazala, rioccupate El Adem e Derna, raggiunta Bardia e Sollum. In due settimane, la Cirenaica riconquistata e Tobruk, che validamente resiste, investita da forze Italo-tedesche. Siamo a metà aprile.

Purtroppo però Tobruk è rimasta in mano nemica che è base e porto importantissimi. Giunge intanto, se pur logorato da molti chilometri di marcia in autocarro, innanzi a quella che è stata la nostra base aeronavale anche il 7° bersaglieri del Col. Duranti.

Reggimento di bersaglieri che contribuisce notevolmente a rinforzare lo schieramento avvolgente del centro ora nemico che, asserragliato, vi resiste con le sue truppe corazzate che escono di quando in quando dalle proprie linee in rapide, pungenti, pericolose puntate contro gli assedianti . Le scorribande corazzate australiane di …. Tobruk si rivolgono contro il 3° Battaglione bersaglieri (8°) sistemato oltre Acroma. Purtroppo questo reparto pur aiutato da due compagnie moto, può far ben poco contro i potenti carri armati nemici. I bersaglieri resistono comunque, ed in breve tempo riescono a recuperare anche la posizione che la sorpresa aveva fatto loro perdere. All’attacco dei vari gruppi di fortini di Tobruk, viene successivamente lanciato il 5° battaglione bersaglieri (8°) con la 142° Compagnia Cannoni del Ten. Quartuccio, la 132° del Cap. Patruzzo e pezzi vari di artiglieria divisionale. L’”Ariete” incarica perciò il Magg. Gaggetti di costituire  i due caposaldi di Bir Scerif e di Caser-el-Cleka.

Dal 1° al 5 maggio è un susseguirsi di azioni contro le ridotte inglesi che costano notevoli sacrifici provocati dalla ben comprensibile reazione delle artiglierie nemiche. Rimangono subito feriti sia Gaggetti che parecchi ufficiali. E la battaglia, che si protrae accanita nella notte fra il 2 e il 3 maggio, vede gli italiani rispondere coraggiosamente alle pugnalate degli inferociti australiani in una lotta all’ultimo sangue. Il Ten. Giovanni Padovani da Arcole il Sottotenente Achille Formis da Padova si impongono all’ammirazione e al rispetto di tutti per il loro sacrificio di Ras el Medeuar. Entrambi medaglia d’oro al Valor militare.

Il caldo si fa intanto più torrido nella zona desertica che circonda Tobruk, anche per i continui bombardamenti che piovono dagli “Hurricane”. I caccia inglesi esprimono, senza trovare reazione adeguata, tutta la stessa violenza ciclonica che comporta e riassume il loro preciso nome. Il “7°” entrato in battaglia ad est di Tobruk, sulla via Balbia, poiché coinvolto con la sua Divisione, deve affrontare le grosse corazze dei carri inglesi con i propri cannoncini da 47. La Colonna “Montemurro”, rotola verso est per ordine di Rommel, tutt’a un tratto si reinserisce verso nord sulla Balbia per Bardia, al confine della nostra colonia. Giunge a Bordi-Sleman seguita da altri reparti italo-tedeschi e, tutti insieme, procedono a presidiare la zona di confine, compresa, a sud, la Ridotta Capuzzo che guarda Sollum.

La possibile via di ritirata, per i reparti rintanati a Tobruk, viene ad essere frustrata. In verità si tratta di una chiusura non troppo ermetica che, in sostanza, i nostri reparti non sono se non caposaldi isolati, pieni di caparbia volontà di fare, di resistere, ma di limitate possibilità, proprio in relazione e in contrapposizione a ciò che il nemico sta a sua volta organizzando, gettando nella fornace della guerra. Alla metà di maggio gli inglesi vogliono togliere di mezzo questi ostacoli per liberare il porto di Tobruk. Fanno agire due poderose colonne munite di carri “Mark 2” e batterie semoventi.

L’Halfaya, la sella situata tra le colline costiere a sud di Sollum, nome che diventerà ben famoso per tutti i successivi punti di attrito che provocherà tra i belligeranti, tenuta da una Compagnia motociclisti tedeschi e da un paio di Compagnie del 12° Battaglione (8°) con qualche cannone anticarro, viene aggirata dopo che i tedeschi del presidio sono sopraffatti e dopo una straordinaria difesa degli anticarro. Due giovani ufficiali, con il loro leonino comportamento, risaltano su tutti coloro che pure si immolano fedeli alla bandiera: Il Sottotenente Rini e il Sottotenente Fazi.

Gli inglesi intendono premere sulla Ridotta Capuzzo e su Sollum stessa. Sul Caposaldo di Quota 186 si verificano urti ancor più micidiali. Sbarcate le fanterie dai mezzi corazzati, il nemico si presenta agguerritissimo tutt’attorno e avanza anche se la reazione delle mitragliatrici della 2° Compagnia motociclisti dell’”8°” e dei relativamente pochi pezzi anticarro del “7°” e del “6°” Bersaglieri  è tutt’altro che trascurabile. Sono chiamati in aiuto  gli Stuka  ma i loro interventi sono forse più dannosi che provvidenziali. Ne sanno subito qualcosa questi disgraziati. I mezzi corazzati tedeschi non arrivano all’appuntamento perché esauriscono, strada facendo, il carburante. Il Sottotenente Giacinto Cova da Brisighella, dell’”8°” , mostra il suo fegato assaltando un manipolo di soldati inglesi di ogni colore, di ogni razza, facili maneggiatori di coltelli. Cederà come tanti altri solamente alla morte, mentre sta per scagliare l’ultima delle sue bombe a mano. Medaglia d’oro al valor militare.

Nei pressi della quota assalita c’è una grossa buca in cui è sistemato il comando della colonna Montemurro e  che diviene presto “dei leoni” per l’accesa battaglia che vi si scatena intorno, chiamando in causa l’intero comando: medici, cappellani, dattilografi. L’attacco nemico perde il suo travolgente impeto anche a Sollum di fronte agli arditi bersaglieri dell’”8°” e del “6°” che esplodono per mezzo dei vari Pirondini, Lanza, Esposito, Talpo. Eppure, prima di sera, la colonna “Montemurro” deve arretrare tutta risalendo la Balbia verso Bardia. E’ la disposizione del superiore comando che impone la sua volontà non senza aver riconosciuto, come farà poi ufficialmente, “lo spiccato ed abile comando del reggimento ed il comportamento di tutti i suoi valorosi soldati”.

Dopo un po’ di assestamento ad ovest di Tobruk sempre in mano agli inglesi, benché isolata, la Colonna “Montemurro”, sensibilmente rinforzata con mezzi dell’”Ariete” viene rispedita in un nuovo contrattacco di forze australiane, neozelandesi, indiane nella zona di Ain el Gazala, qui chiamata a nuovi drammatici avvenimenti. Esse cercano, naturalmente, la via di Tobruk, ma il nuovo presidio tenuto da fanti e da bersaglieri, tiene duro anche se è costretto a perdita di terreno.  L’intervento tempestivo dell’”8°” consente quasi al culmine della lotta disperata, la riconquista della “Capuzzo” e delle altre posizioni del confine Cirenaico.

La prima fase del duello africano, che si conclude con la brillante puntata italo-tedesca verso l’oriente già prima occupato, con la stabile tenuta dei punti strategici del confine libico-egiziano, vede tuttavia Tobruk, importantissima, sempre nelle mani degli inglesi. Il Corpo d’Armata di manovra comprende le Div. “Ariete” e “Trieste”. L’”Ariete”, corazzata, dispone dell’8° Bersaglieri (Compagnia moto; V e VII Btg. Autoportati; Battaglione armi d’accompagnamento e compagnia controcarri), mentre la “Trieste”, motorizzata, ha in rinforzo il 9° Bersaglieri (XXXII Btg. Moto; XXVIII e XXX Btg. Autoportati; XL Btg. Armi d’accompagnamento). Entrambe si trovano schierate alla ripresa dei combattimenti in pieno Serir a 50 Km a sud di Tobruk, nella località di Bir Hacheim e di Bir el Gobi con il compito di proteggere le unità corazzate germaniche che operano in grande spazio. Trascorrono, in grossi preparativi e trasformazioni di reparti, quattro o cinque mesi, mentre il 7° Bersaglieri che ha fatto buona guardia intorno al grosso caposaldo di Tobruk, è raccolto nella zona d’Ain el Gazala per un periodo di riposo e riordinamento.

L’VIII Btg. Motociclisti, sciolto, ripartisce le sue tre compagnie fra il Reggimento, la Div. “Trento” e il Corpo d’Armata di manovra (poi XX). A metà d’ottobre, il 7° (meno un btg. di formazione dislocato nella sperduta zona di Gialo) è chiamato a sostituire a Ras el Medeuar (sud-ovest di Tobruk) il 155° Rgt. Fucilieri tedesco.

Sono quasi ultimati i preparativi per eliminare di viva forza l’occupazione britannica della piazzaforte, quando il Gen. Cunningham scatena la seconda offensiva nell’intento di sbloccare la piazzaforte di Tobruk attaccando di rovescio la linea d’assedio e, dopo ampio avvolgimento da Sud, annientare le unità italo-tedesche.

Violenta si svolge, dal 18 novembre al 7 dicembre 1941, la battaglia della Marmarica attraverso un’ininterrotta serie di furiosi combattimenti in campo aperto e fra le opere forti, col micidiale intervento di masse aeree e corazzate.Iniziatasi nel settore di Sollum, si conclude con il ripiegamento delle forze italo-germaniche su Agedabia. Sbloccata Tobruk; riconquistata la Cirenaica. Alla grande battaglia d’arresto parteciparono tre reggimenti bersaglieri 7°, 8°, 9°, i quali diedero esempio altissimo di tenacia e di mordente, sia nella zona di Tobruk, sia nei combattimenti di Bir el Gobi - Sidi Rezegh, sia nella ritirata dopo il fallimento della controffensiva di Rommel.

Il 18 novembre, un centinaio di carri armati britannici, che intendevano raggiungere la posizione intermedia d’El-Adem per poter così prendere alle spalle gli assalitori di Tobruk, sostenuti da superiori forze aeree, urtavano contro le posizioni della Divisione “Ariete”. Tutti i tentativi di avanzare, anche sul fronte del gruppo “Giovani Fascisti”, si scontravano contro infrangibile resistenza. A Bir el Gobi (Sud di Tobruk) fra i più impegnati erano i bersaglieri dell’8° (Ten. Col. Gentile), i quali, sebbene sul punto di modificare lo schieramento e perciò in crisi, all’attacco della XXII° Brigata corazzata britannica, che aveva circondato i loro capisaldi, reagirono con estrema energia a petto pressoché nudo, senza efficienti protezioni, nello scavo di piccole, affrettate buche nella sabbia, riuscendo con i loro pezzi anticarro a distruggerne almeno una cinquantina. In particolare il V° Btg. bersaglieri fu quello maggiormente impegnato negli scontri.

Il vento, scatenatosi in quell’ora, sollevò una nube di sabbia e limitò la visibilità dei carri. Ciò favorì i difensori. Con tiri mirati e precisi la prima ondata di carri fu messa fuori combattimento.Allora cominciò un infernale carosello fra i carri inglesi che volevano passare e i bersaglieri che li dovevano fermare. Tutta l’avanguardia corazzata si sguinzagliò fra i capisaldi e fu preda dei cannoni dell’8°. Lo stesso comandante inglese ebbe il carro distrutto a soli venti metri dalla postazione di un pezzo controcarro. La battaglia si concluse alle 18, dopo 6 ore d’epica lotta. Erano rimasti sul terreno 50 carri nemici con numerosi equipaggi morti. Il nemico aveva mancato in pieno il suo obiettivo. L’8° Bersaglieri, uomo contro carro, sorretto dalla volontà indomita del Ten. Col. Gentile, un soldato di ferro, la cui combattività anzi che cedere per gli ostacoli, ingagliardiva, aveva vibrato uno di quei colpi che erano il suo stile inconfondibile: a petto nudo avevano distrutto una brigata corazzata.

Nella fase più critica, un Ufficiale d’alto valore, sicuro e sereno sempre, attraversando audacemente le formazioni di carri nemici, aveva effettuato il collegamento tra i vari capisaldi: il Cap. Tullio Sturchio, aiutante tattico del Ten. Col. Gentile, così come lo era stato del Col. Montemurro, sia ad El Mechili, quando, raccolti alcuni reparti motociclisti, d’iniziativa li guidò contro una colonna inglese, contribuendo a sventare una pericolosa manovra ed a costringerla alla resa, sia a quota 186 della ridotta “Capuzzo”, dove, alla testa d’animosi bersaglieri si lanciò a colpi di bombe a mano contro i carri armati britannici fiaccandone l’impeto. (Per queste 3 azioni il Cap. Sturchio fu premiato con 3 medaglie d’argento sul campo).

Paolo Fabbri, inviato della “Gazzetta del popolo” così descrisse in un suo articolo il primo violentissimo urto della XXII° Brigata corazzata britannica contenuto con vigore leonino dai bersaglieri dell’8°  a Bir el Gobi: “….I bersaglieri seppero resistere ai carri, restarono sul posto in una piana senza appigli, in piccole buche scavate nella sabbia…..Eroiche teste dure quelle dell’8°; che Dio gliele mantenga col loro bel piumetto sopra! Spararono  contro quel muro d’acciaio finché non l’ebbero a ridosso. Gli inglesi tiravano ormai a mitraglia….I carri passarono di slancio penetrando nei capisaldi; ma  i bersaglieri, i travolti, avevano già rovesciato il fronte. Una torretta accennò ad aprirsi. Credevano forse che fosse finita per i bersaglieri. E invece l’inferno si scatenò. I bersaglieri sparavano più serrato di prima, seppur esposti al tiro dei compagni di faccia ed esponendolo a loro volta. Fu un intreccio di perforanti e rossi bagliori che costellavano il campo di battaglia; i bersaglieri rivennero fuori, allo scoperto, e si muovevano nel fumo per manovrare le loro armi, apparendo e scomparendo come figure dantesche…….L’ora leonina dell’8° resta ammantata nel caos della battaglia. Impotenti contro quella fragile carne che ogni volta tornava a risorgere dalla crosta della terra, esposti, sbattuti, i battaglioni corazzati  nemici avevano un solo spiraglio d’uscita, e vi si infilarono disperdendosi a largo raggio nella piana desertica.

Nonostante le crude perdite, l’offensiva inglese in Marmarica prosegue più che mai decisa. Dopo l’annientamento a Bir el Gobi della XXII° Brig. Cor. britannica, è la volta della VII° Brig. Cor. neo-zelandese a Sidi Rezegh, località che sta facendosi un “nome”. Questa che il 19 novembre aveva infranti al suolo 18 apparecchi italiani da caccia, nei giorni dal 20 al 22 operava, con altre unità carriste,  da Sidi Rezegh verso il nostro schieramento meridionale di Tobruk, nell’intento di sbloccare i difensori della piazza. Rommel decise di accerchiare tali forze e contro di loro lanciò, oltre alla 15° Divisione Cor. Tedesca a sud-est di Tobruk, il V° Battaglione bers.  e l’VIII° Btg.  Carri. Alle ore 16 la colonna, preso contatto col nemico, inizia una felicissima manovra che porta all’accerchiamento delle formazioni britanniche operanti a sud di Sidi Rezegh e si risolve a Sciaf Sciuf verso le 19 con la distruzione della 7° Brigata Cor. Inglese. Le “fiamme cremisi” del V° Battaglione, animate dal  Maggiore Gastaldi danno l’impressione al nemico di aver avuto disarticolati e distrutti i mezzi corazzati da una contemporanea raffica di ghibli e di dardi scoccati da una macchina diabolica.

 E’ in questo periodo che si ha il dolore della perdita del Battaglione di formazione autotrasportato (spa 38), inviato nel settembre dal 7° Bersaglieri a presidio di Gialo. Dopo disperata resistenza e crudeli perdite, aveva dovuto cedere a una colonna di un centinaio di autoblindo, rinforzate da artiglierie e protette da bombardieri, apparse improvvise in quella zona desertica.

 

Alla puntata dell’8° Rgt. Bersaglieri su Sidi-Omar (24-27 Nov.), nella quale si afferma il valore del XII° Btg. contro tentativi d’avvolgimento di colonne carri e autoblindo, segue il fatto d’arme di q. 175 del costone di Sidi Rezegh, al quale partecipano i Btgg. III° (Magg. Cantella) e V° (Magg. Gastaldi), 2 Compagnie di cannoni controcarro (bers.), 1 Compagnia carri M/13 e 2 Gruppi d’artiglieria 75/27. Con travolgente impeto, i bersaglieri, si lanciano sulle posizioni nemiche e le occupano, catturando 200 prigionieri e un centro ospedaliero con 1000 degenti e 700 militari di sanità.

Il 25 novembre il 9° bersaglieri, comandato dal Col. Bordoni deve ristabilire la situazione venuta a crearsi nei pressi di Sidi-Bu-Amid a seguito della resa agli inglesi, senza molto impegno, di un Reggimento tedesco. Mentre le punte avversarie impegnano le ultime resistenze di un Battaglione dell’”Africa Korps”, il 9° è subito costretto ad impegnare i suoi XXVIII° (Magg. Togna) e XXX° (Ten. Col. Chierico) Battaglione rinforzati dalla Compagnia Mortai (Cap. Carella), contro armatissimi reparti neo-zelandesi. Occorrono parecchie ore, quasi tutta la notte, quella del 26  novembre e, inoltre, molte dosi di sangue per respingere l’attacco dell’intera 2° Divisione neozelandese. Il nemico però è fermato e ributtato sulle posizioni di partenza. Il comando tedesco (Gen. Botscher) si installa nei pressi dello stesso 9°  e studia il modo di impedire un nuovo tentativo inglese di congiungere le sue forze a quelle di Tobruk. Purtroppo in questo sistema d’aperti capisaldi che richiamano alla memoria quelli di Russia, se si capovolgono le condizioni ambientali  e climatiche, si manifesta, alle spalle, la nuova potente infiltrazione nemica che richiede un contrattacco in direzione opposta. Sono i bersaglieri motociclisti del XXXII° Btg.  del Maggiore Pece che si buttano allo sbaraglio. Motori contro granate. Per buona sorte i motociclisti sono serviti a dovere dall’azione dei nostri validi gruppi da 105  e da alcuni carri tedeschi, sicché il possibile inserimento è presto evitato. Avanti alle nostre linee, centinaia di cadaveri nemici ed alcune decine di mezzi corazzati e camionette bruciate testimoniano la tenace resistenza dei valorosi bersaglieri del 9°. Alle 22,30 circa, il nemico sferrò nuovamente un attacco in forze e, benché contrastato con accaniti corpo a corpo dai bersaglieri e battuto efficacemente dall’artiglieria, riuscì ad aprirsi un varco in corrispondenza della 5° Compagnia ormai decimata; un nucleo d’arditi Neo-zelandesi puntò sul comando di settore che si dispose a caposaldo. La lotta si risolse all’arma bianca parecchi bersaglieri e artiglieri furono pugnalati. Il Gen. Botscher, che seguiva da vicino le vicende del 9°, alle ore 2 del 27 novembre, ritenendo pienamente assolto dal Reggimento il compito di trattenere il nemico fino all’arrivo delle Div. corazzate tedesche, ordinò di ripiegare. Nemici catturati: 3 Ufficiali e 310 uomini; 19 carri e 60 camionette distrutte. Il valore dei bersaglieri e degli artiglieri italiani fu riconosciuto dal Gen. Botscher, il quale inviò al Col. Bordoni un messaggio: “ Attendevo molto da Voi, ma avete superato ogni mia aspettativa. Vi ringrazio di quanto avete fatto e spero di avervi ancora ai miei ordini per altri combattimenti”.  Bilancio, ovvio, di molti caduti da ogni parte, senza contare l’ecatombe di mezzi.

E’ in questa giornata d’intrepido combattimento del 9° che a Sidi Rezegh splende l’ardimento del veneziano Tenente Giuseppe Ragazzo, med. d’oro,  che corre, pur già ferito in più parti del corpo, decisamente incontro allo scatenato nemico per controbatterlo in un suo estremo tentativo. In quelle due giornate d’acre lotta, gli episodi di valore degli Ufficiali e dei bersaglieri del “Nono” furono innumerevoli. Il Ten. Pizzicato, più volte trascinò all’assalto i suoi motociclisti contro le forze blindate e motocorazzate britanniche, concorrendo ad assicurare il possesso della posizione contesa; Il Ten. Petris, triestino, comandante di una sezione mitragliatrice da 20 mm, dirigeva allo scoperto il fuoco delle sue armi; avuto ordine di ripiegare, rimase sulla posizione con un gruppo di bersaglieri e mitragliatrici, desistendo dall’azione solo quando l’ultima arma non restò inutilizzata; il Sottotenente Maschio, mitragliere, avendo avute fatte a pezzi le sue armi, alla testa dei superstiti si avventò alla baionetta; il C/le Vanenti, capo-arma tiratore, avuta la mitragliatrice travolta da carri attaccanti, reagiva con lancio di bottiglie incendiarie, inducendo i mezzi corazzati nemici a ritirarsi; il Ten. Randelli, comandante di un plotone arditi, trascinava più volte il suo reparto a vittoriosi contrassalti riuscendo a respingere il nemico penetrato nelle posizioni;  il Serg. Ranucci, comandante di una squadra arditi, alla testa dei suoi uomini si gettava ripetute volte al contrassalto, ricacciando l’avversario e causandogli perdite; ferito al capo da scheggia di granata, si faceva medicare sul posto e col reparto rinnovava un’altra azione; però, mentre, sempre primo fra i suoi bersaglieri, si lanciava all’inseguimento di nuclei nemici, era colpito a morte. Il Bers. Miatto, catturato da un neozelandese, mentre era sgombrato nelle retrovie nemiche assaliva il soldato di scorta, si impossessava della sua arma e rientrava nelle nostre linee trasportando a spalla un nostro ferito rimasto nel campo avversario; il Bers. Di Battista, pur gravemente ferito, affrontò fino alla morte più di un carro armato avversario, meritando sì la medaglia d’oro al valor militare.

Del “Nono”, va soprattutto ricordato il XXVIII° Battaglione che, dopo aver vinto sanguinosi combattimenti, di retroguardia, riusciva a raggiungere e sistemarsi su q. 211 di Sidi el Breghisc, come da ordine del Comandante la Div. “Trieste”, poi raggiunto da reparti del XXX°  Btg. Qui, avendo avuto per consegna di proteggere il ripiegamento d’altre unità, dall’11 al 14 dicembre rigettò ripetuti attacchi di forze preponderanti. Fu su questa quota che il Battaglione del valoroso Magg. Luigi Togna, ebbe nel Caporale Aurelio Zamboni un emulo dell’immortale Enrico Toti. Infatti, da quasi tre giorni la mitragliatrice del c.le Zamboni creava paurosi vuoti tra le file nemiche,  e benché ferito alla testa da una pallottola, non desisteva nella sua azione finché un colpo d’artiglieria gli stroncò una gamba, gli squarciò l’addome, lo ferì in più parti del corpo e gli recise quasi di netto un braccio. Pur gravissimo tagliò con un coltello il penzolante braccio dal moncherino, e visti i compagni contrassaltare, in un supremo sforzo si alzò in piedi prese il braccio reciso e lo lanciò contro il nemico in segno di sfida. Morirà subito dopo per dissanguamento. Medaglia d’oro al V.M.

Fu su questa quota che lo sdegno del XXVIII°, inflisse ad unità di una Div. Neozelandese, largamente provvista di carri, autoblindo e artiglierie, una sanguinosa lezione, infrangendo un fraudolento attacco. Un reparto distaccato sulla destra, attaccato di sorpresa, dopo strenua resistenza era stato catturato. E sembrava tutto finito lì, quando un quadro incredibile apparve agli occhi attoniti dei difensori. Uomini “nostri”, bersaglieri fatti prigionieri, erano sospinti innanzi, disarmati, braccia in alto, le armi dietro le reni. Furono attimi tremendi, quelli, in cui si sommarono e confusero orrore e sdegno, angoscia e furore. In quel momento, simultaneamente, tutti, compresi i feriti, compresi i morenti, laceri, sanguinanti, scattarono dalle buche, dalle trincee, da ogni riparo. Un onda impetuosa di piume all’assalto ricacciò, liberando i prigionieri, chi non potendo conquistare la quota col proprio valore aveva cercato di prenderla con tanto ignobile azione. Ma la quota 211 era del XXVIII° e del XXVIII° rimase.

Dopo le battaglie della Marmarica e della Sirtica, dopo i gloriosi fatti d’arme di Bir Bellafa e di Sidi el Breghisc, il 9° Bersaglieri, animato e condotto dal valoroso Col. Bordoni, “continuò a dar prova di spirito aggressivo, rimanendo sempre di retroguardia alla Div. “Trieste”; sostenne cruenti combattimenti con truppe motorizzate inglesi di cui ritardò l’avanzata, si da consentire alle altre Divisioni italo-tedesche di ripiegare ordinatamente dietro lo schieramento difensivo di Agedabia, che attraversò per ultimo.

Ossessionante il ritmo della gigantesca battaglia; altissima la capacità reattiva dei nostri “piumati”, sanguinoso lo scotto d’ambo le parti. Dopo ulteriori serrati atti di manovra e scontri, specie nel contrastato ritorno delle forze corazzate italo-tedesche dal fronte di Sollum verso Tobruk, un nuovo accerchiamento fu tentato da Rommel con la 21° Div. Corazzata e l’”Ariete”; ma contro la 2° Divisione neozelandese i frutti raccolti furono limitati.

Fra gli episodi della battaglia di arresto, va anche ricordato lo scontro di Gasr el Arid (3-5 dicembre), dove si distinse per combattività il III° Btg. bers., condotto con slancio dal Cap. Porzio. Poi è il ripiegamento delle unità italo-tedesche dalla Marmarica. Ma il 7 dicembre, raggiunta la zona di El Adem, l’8° Bersaglieri riceve ordine di attaccare il giorno dopo le posizioni diBir el Gobi per disimpegnare reparti tedeschi ivi minacciati. L’incarico è brillantemente assolto.Segue il combattimento di Meteifel el Seghir (N.O. di Bir Hacheim), nel quale la Div. “Ariete” sostiene un formidabile urto di mezzi corazzati e fanteria. E’ in questa occasione che, in mezzo ad accecante fuoco di artiglieria, trova morte gloriosa il Magg. Gastaldi, Comandante del fierissimo V° Battaglione. Nonostante la formidabile pressione nemica, il Reggimento riesce, a sganciarsi per scaglioni.

Nei giorni 14-15 dicembre si svolge vittorioso l’attacco del XII° Btg. (Magg. Cantella), rinforzato dalla 2° Compagnia controcarri e accompagnato da carri M/13, al caposaldo di q. 204 di Sidi el Breghisc. Le forze britanniche sono travolte; un Reggimento d’artiglieria distrutto; catturati 300 uomini, 40 bocche da fuoco e alcuni carri armati.

Altri sacrifici attendono i Reggimenti piumati, quasi tutti di retroguardia nel ripiegamento verso la Sirtica. Si combatte ad Ain el Gazala, sul ciglione di Derna, a Tecniz, a Barce, nella piana di Bengasi; e dovunque sventoli il pennacchio, dovunque è onore. Gareggiano fra loro in eroismi i Reggimenti 7°, 8°, 9°, anche se le perdite che subiscono vanno ad infittire di nomi venerandi i loro inventari di morti e di feriti.

Il 7° Bersaglieri non meno virtuoso dell’8° e del 9°, si era battuto impavido sulle posizioni di Ras el Medauer (Tobruk). Anche qui in numeri atti di ardimento. Nelle posizioni più avanzate, due inesausti comandanti di Battaglione: Ten. Col. Mattesini (XI°) e io Magg.Rosano (X°), i quali poterono contare in ogni momento sulla bravura dei Capitani Amodei, De Palma, Lucido, Paladini, Pernotti e Rubagotti, a loro volta in piena rispondenza spirituale con un nucleo di coraggiosi subalterni: Bacchiani, Borrello, Cappari, Lorello, Vaccaio, Vicini e Italo Casamassima; l’uomo eternamente di punta, tutti rotti al deserto e giorno e notte a tu per tu con la morte. Ma non meno rifulse l’eroismo devoto degli oscuri gregari di cui uno il bersagliere Tenca, Medaglia d’argento al V.M., ferito gravemente, subì l’amputazione degli arti inferiori con stoicismo non comune.

Gli inglesi, intanto, danno il via alla seconda fase dell’offensiva. Sotto la protezione della superba Compagnia motociclisti del Cap. Lucidi, i battaglioni X° e XI°, nella notte sul 7 dicembre, iniziano il ripiegamento. Ma il reparto motomitraglieri, attaccato ala mattino da forze preponderanti, è quasi distrutto. Degli Ufficiali, solo il Ten. Bacchiani riesce a raggiungere i resti del Reggimento, al quale è stato affidato, nell’arretramento generale della Sirtica ordinato nel pomeriggio del 7 da Rommel, il compito di rompere il contatto col nemico per ultimo, dopo le Divisioni “Brescia” e “Trento” pur destinate a proteggere la ritirata generale. Il che sarà fatto egregiamente nella notte sul 16 dicembre.

Ha così inizio una movimentata marcia di 500 Km  verso l’altipiano cirenaico.

La sera del 15 dicembre, giunto ad Ain el Gazala, il Reggimento è chiamato a “tamponare una falla prodottasi nello schieramento della Div. “Trento”. Su quelle posizioni il mattino del 16 sostenne due combattimenti. Il nemico, validamente contenuto, segnò il passo, perdendo tempo prezioso, a tutto vantaggio delle forze ripieganti. il 18, sul ciglione di Derna, i bersaglieri del 7°, rimasti isolati come estrema retroguardia del XXI° C.A., combatterono tutta la giornata contro forze avversarie superiori per numero e mezzi. Rendevano il tal modo possibile alle Div. “Brescia” e “Pavia” di ripiegare oltre Derna e alle Div. “Trento” e “Bologna” di raggiungere, da sud, il villaggio “De Martino”, sul Gebel Cirenaico. Ultimato il movimento di dette grandi unità, nella serata i bersaglieri del 7°, rimasti abbandonati a se stessi, ripiegavano su Derna, subendo però altre notevoli perdite che facevano scendere gli effettivi del Reggimento al 50% della forza  combattente dall’inizio della battaglia. Lo stesso Comandante del Reggimento, alle ore 14 di quel giorno, mentre con pochi motociclistici spostava da un battaglione all’altro, fu catturato da elementi della 4° Divisione Indiana. Ma due carri della Div. “Ariete”, rimasti isolati nel deserto e da qualche giorno col comando del 7° Bersaglieri, sopraggiungevano in tempo per liberare il Colonnello.

Dopo queste giornate avventurose, gli avanzi del 7° sono chiamati ancora a ritardare le avanguardie nemiche sul ciglione di Barce per dar tempo alle varie grandi unità di raggiungere la piana di Bengasi. Ed i superstiti dei battaglioni X° e XI° assolvono con fermezza la nuova missione, riuscendo a sganciarsi abilmente ed a raggiungere Bengasi nella nottata, donde proseguono verso Agedabia, incalzati da forze motocorazzate. Non è finita. Dopo la battaglia di arresto e successivo ripiegamento, il 7° è destinato a fare da cerniera fra la “Pavia” e la “Trento” impegnate all’alba del 27 dicembre. In nemico, intanto, aveva rioccupata Bengasi (25 dicembre); resistevano Bardia, Sollum e Halfaya, che  sarebbero però cadute fra il 2 e il 17 gennaio 1942.

I battaglioni X° (Amodei) e XI° (Mattesini) tennero testa bravamente alla Brigata della “Guardia Reale Scozzese” che attaccò con grande decisione. Dopo parziali cedimenti di reparti dell’XI° Btg., imposti dalla violenza dell’urto, la situazione fu ristabilita  mercè il pronto impiego dei rincalzi guidati personalmente dal Ten. Col. Mattesini e con il potente intervento di un gruppo di obici da 100.Sul mezzogiorno il combattimento era risolto in nostro favore. Il Gen. Rommel, prontamente intervenuto il linea, volle personalmente rallegrarsi con i bersaglieri del 7° per il magnifico comportamento e il successo da essi conseguito.

 

Nonostante superbe pagine scritte dal valore italiano nel secondo ciclo operativo, la battaglia della Marmarica fu per noi estenuante e sanguinosa. L’”Ariete”, la Divisione più provata, ebbe la forza delle sue unità ridotta al 15%. Nella prima fase della battaglia abbiamo visto i nomi di Sidi Rezegh e Bir el Gobi legati ai fasti ed al sacrificio dell’8° e dei suoi compagni di gloria. “I bersaglieri dell’ “Ariete”, scrive nel 1942 Hans Voker, corrispondente di guerra della “National Zeitung”, sono presenti ovunque nel deserto. E’ questa onnipresenza che ha conferito all’”Ariete” il nome di “Divisione fantasma”. fra i soldati del Corpo africano tedesco essa è conosciuta come la Divisone a tutta prova. “Sempre avanti”, è il motto che anima i soldati di questa Divisione, dal Generale al più giovane bersagliere. E’ lo spirito dei legionari dell’antica Roma…..nomi come El Mechili, Sidi Rezegh, Bir el Gobi, Tobruk e Sollum sono indissolubilmente uniti al nome di questa Divisione. Noi germanici parliamo della fanteria come della Regina delle armi. In Italia la regina delle armi è data dai Bersaglieri. Essi sono dappertutto, sempre avanti ai carri armati, nelle trincee e, durante l’avanzata, sugli autocarri e sulle motociclette. Sono essi che recano l’ultima decisione della battaglia, ne l’artiglieria ne le formazioni corazzate potrebbero far nulla senza di loro. Fu un pugno di bersaglieri a mantenere con poche armi, nella primavera scorsa, Ras el Medauer, una fortezza avanzata davanti a Tobruk. Essi resistettero fino al sopraggiungere dei rinforzi”.

Avendo accennato alla lotta combattuta fino allo stremo delle forze nella zona di Bir el Gobi, non possiamo lasciare in ombra il “Gruppo Battaglioni Volontari Giovani Fascisti”: quasi tutti studenti, che, fiamme e fez neri degli arditi, dei bersaglieri avevano nel sangue il rigoglio di vitalità, l’impulso impaziente di confronti e di gloria, e nell’animo il patrimonio venerato e caro dei volontari di Curtatone e Montanara. Le battaglie del deserto affrettarono la loro maturazione. Mobilitati nell’aprile 1941, equipaggiati e addestrati alla bersagliera, largamente inquadrati da bersaglieri, da questi educati alla poesia del dovere e del sacrificio, e con questi cresciuti nelle armi, i 1500 giovanissimi volontari, emuli degni dei fanti piumati, sintesi anch’essi di bellezza e d’impeto, dovevano fin dal primo scontro mostrare agli italiani disattenti la loro purezza ideale, ai carristi inglesi la tenacia dei loro artigli.

Il 19 novembre 1941, la XXII° Brig. corazzata inglese prendeva contatto con i due battaglioni di ragazzi in zona che il nemico chiamava “area Bir el Gobi”. Respinta, riprovava il giorno dopo. Rigettata ancora, avanzava a suo sostegno un’altra Brigata corazzata, la 4° ,ma l’8° Bersaglieri, unità carriste dell’ “Ariete” e i GG.FF. (giovani fascisti) manifestavano così alta capacità reattiva che, il 23, Rommel poteva travolgere la XXII° Brig.  e annientare la V° Sud-africana. La battaglia tornò a divampare il 4 dicembre. Il nemico aveva ricevuto i soccorsi invocati col noto messaggio: “Ci occorrono rinforzi…non riusciamo a passare…ci troviamo di fronte a degli indemoniati…”. “indemoniati” erano i sedicenni e diciassettenni che gli inglesi chiamavano “Mussolini’s Boys”, cioè “ragazzi di Mussolini”, e che per 16 giorni avevano tenuto testa a truppe sceltissime quali la Brigata “Waterloo”, truppe negre e indiane della 7° Div.  e un reparto di guastatori australiani; gli “indemoniati” del I° Battaglione volando bassi come rondini fra un carro e l’altro, avevano arrestato numerosi mostri; “indemoniati”, i “balilla” del II°  Battaglione che, saldi come i loro principi, avevano concorso il 19 a dare scacco allo strapotente nemico a Bir el Gobi, dove già il 6 dicembre, la generosa veemenza dei “Giovani fascisti”ancora resisterà. Gravemente ferito il Ten. Col. dei bersaglieri Ferdinando Tanucci Nannini, splendido Comandante di quei “pazzi maledetti”, così chiamati da Radio Alessandria; stroncata da una cannonata la gamba del Magg. Fulvio Balisti; fulminato il Serg. Zama, scagliatosi in motocicletta contro un carro lanciando bombe; sul terreno un cimitero di carri e di giovani eroi; sulla bocca del Caporalmaggiore  Ippolito Piccolini, comandante di squadra cannoni controcarro, caduto a pochi metri dal fratello Mario, Ten. dei bersaglieri, un incancellabile sorriso. Prima con il cannone dalla sua buca, poi con una spranga di ferro, per scoperchiare la torretta di un carro armato, infine con pistola e bombe a mano infilate di prepotenza nelle feritoie della torretta stessa, il suo “sublime ardore” aveva inchiodato 4 carri. Tante erano le sue ferite, e tante sono le stagioni, di cui una, la primavera, fioriva nel suo cuore. Medaglia d’oro al V.M.

E così, cento e cento altre piccole figure che, illuminate dal valore, appaiono gigantesche.

Bir el Gobi: Un nome che brilla e brillerà sempre nella Storia.

 

 

Sottrattosi all’offensiva nemica, Rommel non si diede per vinto e temendo che posizioni di Marada - el Agheila, dove le forze italo-tedesche si erano sistemate il 6 gennaio, potessero essere aggirate, preparò i piani per un’altra “sua” spregiudicata controffensiva. La scelta di tempo fu così felice che nella Sirtica orientale non vi fu soluzione di continuità tra l’esaurirsi dell’attacco britannico e la “presa di ferro” operata dal generale tedesco. Il quale, senza informare il Comando Supremo, si lanciò il 21 gennaio con le sue Divisioni Corazzate (15° e 21°) e parte dell’“Ariete” verso Agedabia. A testa bassa contro il nemico e l’ignoto. Tutto su di una carta.

Ma, anche questa volta il colpo d’ala del “Demonio del deserto” ebbe esito sbalorditivo e gli inglesi furono sorpresi nel difficile atto finale della loro combattuta avanzata”. Presa al volo Agedabia; il Gebel investito; Bengasi liberata; Ain el Gazala – Bir Hacheim impegnate, catturati 800 carri e 320 cannoni; il 30 gennaio, occupa Barce; il 2 febbraio, Cirene; il 3, arriva a Derna; El Mechili sgombrata dal nemico; elementi motorizzati italo-tedeschi nel golfo di Bomba. E qui ha termine la prima fase offensiva.

Col solito generoso impegno, alla riconquista della Cirenaica partecipa l’8° Bersaglieri (1 Cp. Mortai 81; Btgg. 5° e 12°), che il 21 gennaio avanza con l’“Ariete” e la “Trieste” a cavaliere della via Balbia. Ma, per quanto sconvolto dall’improvvisa irruente offensiva, il nemico ripiega verso est senza farsi agganciare, anzi reagendo con decisi contrattacchi, appoggiati dall’artiglieria e da mitragliamento aereo. La sera del 27 l’“Ottavo” occupa Solluch, supera estesi campi minati e mette in fuga reparti indiani; il 29, dopo una marcia irta di difficoltà e di combattimenti, entra per primo a Bengasi, facendo un migliaio di prigionieri; l’8 febbraio arriva ad El Mechili e concorre a sventare un attacco di retroguardie contro elementi del 9° Bersaglieri già a presidio della località.

Ininterrotte fatiche e perdite non fiaccano il 9° Bersaglieri, che continua a manifestare abnegazione e aggressività sia nel ripiegamento imposto dagli inglesi, sia nella sorpresa offensiva scatenata da Rommel il 21 gennaio. Dopo aver, alla fine di dicembre, partecipato con le Div. Tedesche 15° e 21° alle felici azioni sulla pista Agedabia – Gialo, che ebbero per epilogo lo sbriciolamento della XXII° Brigata Corazzata Britannica e, il 1° gennaio 1942, operato a Cher el Bidan, ai diretti ordini di Rommel, che ne elogiò saldezza e mordente, con la consueta generosità concorre alla rioccupazione della Marmarica. Avanguardia della Div. “Trieste”, all’inizio dell’offensiva italo-tedesca lo vediamo sulle piste desertiche; primo ad Agedabia; vittorioso contro le posizioni fortificate di Scleidima (dove gl’inglesi in rotta, lasciano grosso bottino e numerosi prigionieri); primo ancora, dopo una marcia di oltre 400 Km, ad El Mechili, occupata di sorpresa, mettendo in fuga tenaci retroguardie.

Una serie di sanguinosi combattimenti ne ha ridotto via via l’efficienza; nondimeno, l’8 febbraio, quando il nemico attaccava El Mechili ed i reparti germanici cedono nella zona di Temrad, trova forza ed animo per resistere fino al giorno dopo, dando modo a carri e cannoni dell’“Ariete” d’intervenire e risolvere il combattimento con la confusa ritirata delle forze inglesi. Alla presenza del Gen. Zingales e di picchetti d’onore delle Div. “Trieste” ed “Ariete”, a metà febbraio, dai bersaglieri del 9° è innalzato per la seconda volta il tricolore vittorioso sulla torretta del fortino di El Mechili. Dio benedica questo Reggimento di Eroi, Dio benedica il 9° Reggimento Bersaglieri.

Intanto, il 24 gennaio, sono sbarcati a Tripoli 6 Ufficiali e 200 fra Sottufficiali e bersaglieri, superstiti del XXXVI° Btg. (12° Rgt.) salvati nell’inabissamento del “Victoria”. “Ma quanti di questi bersaglieri saranno ancora vivi alla fine dell’anno, dopo l’autunno nefasto, dopo che il XXXVI° Btg. sarà più volte distrutto e rifatto, e chiamato poi a posti d’onore lungo il fronte d’El Alamein?

Del 7° Bersaglieri, ridotto nella riconquista della Cirenaica alla minima espressione, l’11 febbraio assume il Comando ad Agedabia il Col. Ugo Scirocco che, impareggiabile organizzatore, recupera, anche per l’inesausto lavoro del Ten. Valle, molto materiale (anche inglese: 7 cannoni dal 88mm e 15 mitragliatrici dal 40 mm, con largo munizionamento), sì da restituire il Reggimento, entro maggio, alla sua primitiva efficienza materiale e morale.

E poiché tutte le Grandi Unità e tutti i reparti sono provati, privatissimi, dal 6 febbraio al 25 maggio segue un periodo di stasi operativa, vivificata dall’attività di distaccamenti esploranti.

L’estate Marmarica è alle porte nuovamente e la temperatura sale di continuo. per lunghezza di giornate e per un fervore eccezionale di preparativi: In tutto il mondo e su ogni continente, su ogni campo operativo, visto che l’emisfero meridionale non è poi molto trascurato da questo mal sottile. Nel conflitto è entrato anche il Giappone a fianco degli alleati dell’Asse e, con le sue fresche energie, passa subito di successo in successo. Gli inglesi si preoccupano per la loro roccaforte di Singapore e debbono trascurare un po’ le questioni del Nord-Africa. D’altra parte gli impegni crescono anche per i tedeschi che, fermati per un inverno intero sulle gelide, deprimenti steppe russe, devono, ora gettare nella mischia tutto il loro potenziale per il “redde rationem”. Bisognerebbe perciò approfittare della “distrazione” orientale per tentare un colpaccio a sensazione.

La cosa è ben chiara nella mente di Rommel, sempre più astuta “volpe” del deserto. L’uomo è più che audace e quelli che comanda, italiani intesta, sono reparti che ogni Generale vorrebbe sempre avere agli ordini. Ma siamo alle solite con le distanze enormi e con i rifornimenti che, se non arrivano, mettono tutto a soqquadro, a repentaglio e capovolgono anche i risultati più brillanti. C’è difficoltà per questi rifornimenti: c’è penuria e c’è anche qualcosa che non fila sempre alla perfezione.

Il 26 maggio improvviso si scatena l’inferno. L’iniziativa è ancora alle forze italo-tedesche le quali riescono a rompere il fronte fra Ain el Gazala e Bir Hacheim, premessa alla eliminazione delle forze britanniche della Marmarica. Alle operazioni concorrono tre Reggimenti di Bersaglieri: il 7° verso il mare; il 9° attacco frontale; l’8°, aggiramento da sud, in cooperazione con la 21° Div. Corazzata tedesca.

Diamo uno sguardo alla ripresa controffensiva in Marmarica e, più precisamente, all’azione spiegata da questi tre reggimenti durante la battaglia-manovra d’Ain el Gazala, che si sviluppa con la caduta di Bir Hacheim (11 giugno), estremo pilastro meridionale dello schieramento difensivo britannico, l’eliminazione degli Inglesi da Ain el Gazala (16 giugno), la riconquista di Tobruk (21 giugno), l’inseguimento delle colonne in ritirata e il forzamento della piazza di Marsa Matruk (28 giugno).

Il 7 giugno il nemico attacca il fronte tenuto dalla “Trento”, della quale fa parte il 7° Bersaglieri. La manovra nemica sta per avere ragione dei capisaldi tenuti dalla Fanteria, quando un contrattacco di bersaglieri coglie sul fianco gli Inglesi, che ripiegano, lasciando morti, feriti, prigionieri.

Inquadrato nell’“Ariete”, l’8° Bersaglieri (Col. Gherardini) partecipa ad incessanti combattimenti; il 28 maggio El Cherua, dove al nemico in fuga è catturato un gruppo d’artiglieria; il 5 giugno a Dahar el Aslag, dove il Comandante del V Btg. (Cap. Corrado Porzio) è gravemente ferito fra i suoi bersaglieri che, nonostante la tenace resistenza e le sensibili perdite, raggiungono l’obiettivo della giornata e rigettano con gli altri reparti del “Reggimento di ferro” un violento urto di forze corazzate e di fanteria; il 20 giugno contro un gruppo di fortini di Tobruk che espugna, catturando il giorno dopo, nella resa della piazzaforte, 1600 uomini e ingente materiale.

Il 9° Bersaglieri (che, il 1° maggio, in seguito a malattia del Col. Bordoni, era passato agli ordini del Ten. Col. Togna ), il 26 di quel mese, ha ordine dal Comando del X° C.A., da cui dipende, di avanzare verso Bu Allusc, posizioni sulle quali il XXVIII° Btg. si schiera il 27, collegandosi con la Div. “Pavia” che il giorno 12 aveva avuto messo a disposizione l’altro Btg. (XXX°).

Il 12 giugno, dopo intensa preparazione d’artiglieria, il nemico attacca il XXVIII°. Il combattimento, asperrimo, si conclude a corpo a corpo; ma i bersaglieri riescono a rigettare gli Inglesi, infliggendo loro pesanti perdite. Il 14 giugno, al rinnovato attacco, reazione immediata, e le armi controcarro dei bersaglieri costringono il nemico ad abbandonare la lotta, lasciando sul terreno numerosi morti e un centinaio di mezzi incendiati o danneggiati.

Il 21, le “fiamme” del 9° Rgt. smantellano alcuni fortini di Tobruk e catturano uomini ed armi; il 27, prendono posizione nelle opere di Marsa Matruk, dalle quali, il giorno dopo, respingono il nemico e l’inseguono fino ad El Dak. Il 15 luglio, il Reggimento si prodiga per soccorrere la Div. “Pavia” impegnata da forze schiaccianti. Il XXVIII° Btg. è duramente provato e la sua 2° Compagnia annientata da carri nemici.

Non meno dura la lotta e profondo il cammino del “Settimo”. Quando, alle ore 7 del 15 giugno, i C.A. X° e XXI° riprendono l’offensiva, il movimento è preceduto, per il XXI°, da un avanguardia motorizzata costituita dai bersaglieri del 7° che avanzano a cavallo della pista Sidi-el-Breghish. Il 17 giugno, spazzate autoblinde e artiglierie leggere britanniche, il “Settimo” arriva a Tobruk. All’alba del 21, le forze dell’Asse attaccano la piazzaforte, preventivamente ammorbidita da un bombardamento, e alle ore 10 i bersaglieri del 7° Rgt. irrompono nell’abitato, mentre reparti corazzati cominciano a penetrare da est e da sud. Il presidio di circa 25.000 uomini catturato. Sette Generali con bandiera bianca.

Come ricorda il Generale Maravigna, il secondo atto della battaglia di Tobruk si risolse in modo rapido e felice anche per la debole e disordinata resistenza nemica. Dell’8° Armata britannica ormai resta ben poco. In meno di un mese, essa ha perduto 50.000 prigionieri, 1000 carri, 300 autoblinde, 800 bocche da fuoco, 500 automezzi. Nel discorso del 1° luglio 1942 alla Camera dei Comuni Churchill, senza reticenze e veli, accenna al “disastro di Tobruk”: la piazzaforte caduta “nel corso di una sola giornata”.

Il 22 giugno, il 7° Bersaglieri, costante avanguardia del XXI° C.A., punta su Bardia, la sorpassa e si porta a contatto dello schieramento nemico di Sollum-Halfaya. Il giorno 24, infranta la resistenza inglese, i bersaglieri del 7° superano Sollum e Bug Bug, e occupano Sidi el Barrani. Alle ore 14 del 25 giugno, attraverso ostacoli di fuoco terrestre ed aereo, il Reggimento raggiunge, sempre da solo, le linee del campo trincerato di Marsa Matruk e facilita l’avanzata del proprio C.A. (XXI°) e del X°.

Il compito di penetrare nella piazzaforte è affidato al 7° Bersaglieri che, all’alba del 29, aprendosi i varchi nei campi minati e nei reticolati, entra per primo in Marsa Matruk, dove cattura i resti del presidio nemico in ritirata e libera prigionieri italiani e tedeschi.

L’azione del 7° Bersaglieri , che lo stesso giorno è coronato dall’occupazione dell’aeroporto di Fuka, è citata sul bollettino di guerra n. 736 del Comando Supremo.

Alla sera del 30 i due Btgg. del “Settimo”, anima del “Gruppo d’inseguimento “Navarrini”, arrivano ad El Alamein; il 1° luglio attaccano. Quella di El Alamein che si rivelerà successivamente punto focale di tante speranze, di tante amarezze, di tante patite delusioni, pur nell’ammirato, stupefacente progetto che è, nel sogno di Rommel, la conquista dell’Egitto.

Il corso degli eventi è tale che incoraggia Rommel a tutte le audacie. E poiché l’Egitto è il suo sogno, tra il 19 e il 28 di giugno è la corsa al Nilo. Un’avanzata che Churchill definisce “stupefacente”; un trionfo che Rommel definisce “incomparabile”.

Il 19 giugno, dopo il terrificante e catastrofico naufragio cui è stato soggetto nella traversata dall’Italia a causa del siluramento, il 23 gennaio, della motonave “Victoria” su cui era imbarcato, entra in linea il 12° Bersaglieri (Ten. Col. Ronchetti) che, insieme al LI° Btg. Carri M costituisce la Divisione Corazzata “Littorio”. (E’ doveroso ricordare che il LI° Btg. Carri M era Comandato dal Ten. Col. dei Bersaglieri Salvatore Zappalà, che impavido sotto l’implacabile fuoco dei mezzi corazzati nemici, sebbene gravemente ferito, persisteva eroicamente nell’impari lotta cadendo colpito a morte fra il rogo di ben 11 dei suoi carri ad El Dabà il 30 giugno. Decedette il 2 luglio nell’ospedale da campo n. 469 di Sollum in seguito alle ferite riportate in combattimento. Medaglia d’oro al V.M.). Movendo da Sidi Rezeg, dove nel pomeriggio del 20 ha rigettato l’attacco di una Brigata indiana, il 12° Reggimento raggiunge con i suoi due Btgg. Marsa Matruk. Saputo minacciato il Comando Superiore Tedesco da un’incursione di carri, il XXIII° Btg. (Magg. Cavalieri) vola in soccorso degli alleati, riscotendo un personale elogio da Rommel. Le forze inglesi, intanto scosse e in disordine, ripiegano. Il loro collasso consiglia il nostro Comando Supremo a spingere l’offensiva a fondo: “occupare con il grosso la stretta fra il golfo degli Arabi e la depressione di Bad el Cattara”. Ma anche le forze italiane sono privatissime. Dopo la caduta di Marsa Matruk (30 giugno), l’efficienza delle nostre grandi unità è ridotta a ben poco: alla “Littorio” son rimasti non più di 1000 bersaglieri del 12° Rgt. e alla “Ariete” 600 dell’8°. Complessivamente queste due Divisioni dispongono di 26 Cannoni.

Dopo un’instancabile inseguimento di oltre 500 Km, che raccoglie altri 25.000 prigionieri, la stilettata d’Ain el Gazala, penetrando profondamente oltre il confine egiziano, porta alla rapida occupazione della stretta d’El Alamein.

Fin dall’inizio della battaglia di Tobuk (26 maggio), all’azione controffensiva e all’inseguimento prendono viva parte i bersaglieri. Il cuore in gola dalla corsa e dalla consolazione, i Reggimenti piumati 7° e 8° sono fra i primi a varcare la porta dell’Egitto, che le truppe britanniche stanno sbarrando con un complesso di opere di calcestruzzo, fossi anticarro e campi minati: organizzazione che non essendo aggirabile, pone in eccellenti condizioni funzionali di difesa.

Nonostante le crescenti difficoltà logistiche e l’enorme stanchezza, nell’euforia dell’inseguimento il “Settimo” (a disposizione del XXI° C.A.) e l’“Ottavo” (sempre nell’ “Ariete”)superano di qualche chilometro la prevista linea di sbalzo. Sulla litoranea, il X° Btg. (Magg. Amodei) si spinge addirittura oltre la soglia di El Alamein.

Intanto il “Nono”, a disposizione del X° C.A., dopo aver respinto numerosi incursioni di camionette, serra sotto e il “Dodicesimo”, primo scaglione della “Littorio”, si porta anch’esso sulla linea di schieramento che, fra il mare e la depressione di Bad el Cattara, ha uno sviluppo di 56 Km.

Sembra la fine degli inglesi ed è, invece, il principio della nostra fine.

La lotta non ha tempo di stabilizzarsi. Senza preparazione di artiglieria. Rommel attacca il 1° luglio. E’ cosiddetta “Offensiva al Delta”, concepita dal Maresciallo per tagliare le comunicazioni fra Alessandria e il Cairo e “distruggere” il nemico mediante aggiramento del fianco sud dell’Armata del Nilo. Esito negativo. Dopo un inizio lento e contrastato, l’azione è arrestata da un potente bombardamento aereo, da centinaia di cannoni da 25 libbre e dal Rommel stesso che, disperando dell’esito per essere mancata la sorpresa, non forza la situazione e si ritira.

Inferiorità di artiglieria, di mezzi corazzati ed aerei; crisi di carburante e di munizioni portano al fallimento la grande manovra da Rommel iniziata con tanta fortuna, ma con altrettanta imprudenza, non avendo sufficientemente considerate le difficoltà logistiche proprie della guerra desertica e quelle derivanti da logoramento delle truppe e macchine dopo un così estenuante inseguimento.

All’estrema sinistra partecipa all’azione il 7° Reggimento (Col. Scirocco) che, portatosi a contatto delle opere nemiche, riceve l’ordine di sostare fortificandosi. Rinforzato dal 2° Artiglieria Celere, costituisce con i mezzi precari di cui dispone, due capisaldi, uno dei quali cede poi ai fanti della Divisone “Sabratha”. Alle prime luci del 10 luglio, ad ovest di El Alamein, tra la ferrovia e il mare, un forte attacco si abbatte sull’XI° Btg: Bersaglieri e su due Btgg. della “Sabratha”. La massa attaccante costituita da un gruppo di Battaglioni della 9° Divisone australiana, appoggiati da moderni carri, dopo accanita lotta travolge un Battaglione di Fanti e due gruppi di artiglieria e cattura il Comando del 7° Bersaglieri, senza riuscire, nondimeno, a spuntarla contro l’XI° Btg. Bersaglieri che rimane piantato nel suo caposaldo. L’attacco nemico sta già per cadere sul tergo del nostro schieramento a cavaliere della litoranea, quando il pronto intervento del X° Btg. rigetta la colonna nemica, dando tempo alle riserve del XXI° C.A.  di entrare in azione. Il giorno dopo, 11 luglio, gl’inglesi rinnovano con maggiori forze l’attacco ed anche il caposaldo con tanto valore tenuto dall’XI° Btg. è travolto.

E’ così che, all’esaurirsi della prima battaglia di El Alamein, del 7° Bersaglieri rimangono, a forza ridotta, la Compagnia Comando, il X° Battaglione (Magg. Amodei) e mezza Compagnia dell’XI° (Cap. Bacchiani).

All’azione prende parte anche l’8° Bersaglieri, il quale, avendo avuto ordine di portarsi nella zona di Deep Well, rinforzato da un nucleo di bocche da fuoco punta verso il suo obbiettivo, senza che sulla sua destra avanzi a sostegno, com’era stato previsto, la Div. “Trieste”. Alle prime ore del 13 luglio raggiunge l’obiettivo, ma rimane isolato ed avvolto da un attacco concentrico di colonne di fanteria e di mezzi corazzati e blindati. Sottoposte a micidiali concentramenti, le batterie di rinforzo sono distrutte e il XII° Btg.  è sommerso. Rovesciata la fronte, il V° Btg. tenta di fronteggiare la tragica situazione, ma fatto bersaglio a offese convergenti è costretto a retrocedere combattendo. I superstiti dell’8° possono costituire appena un Plotone Comando e una Compagnia del V° Battaglione. Solo dopo un periodo di riordinamento il Reggimento potrà contare su due Battaglioni organici e partecipare alla seconda offensiva di Rommel ad El Alamein.

Logorato pure il 9° Bersaglieri, sottoposto sulle posizioni di Ruweisat a sanguinosa prova. L’ostinata resistenza gli costa centinaia di perdite, sicché i suoi resti sono riuniti in un solo Battaglione, il XXVIII° . Né si può contare sull’arrivo di complementi dall’Italia, poiché in luglio giungeranno in tutto 3 Ufficiali e 21 bersaglieri sfusi. Nella notte tra il 14 e 15 luglio, dopo lunga e violenta azione di artiglieria ed aerea, un attacco inglese condotto da ingenti forze riusciva ad avere ragione della prima linea ed il nemico irrompeva nelle posizioni del 9° Bersaglieri travolgendo i reparti sotto la valanga dei carri armati. I superstiti, al comando del Tenente Carovita, erano impiegati alla difesa della Sede del X° Corpo d’Armata, coinvolto nella battaglia.

L’avverso risultato influì sinistramente sull’animo dei nostri soldati che in quella piana assetata e giallastra, tutta sabbia e roccia vivevano “come dannati”. Anche Rommel cominciò a ritenere la situazione “estremamente critica”. In attesa della ripresa offensiva, annunciata per agosto, il 7° Reggimento era stato raccolto intanto sulle posizioni di Marsa el Hamra, dove era rinsanguato e riordinato. Riceveva, infatti, un nuovo Btg. e si ricostituiva l’XI°, andato pressoché distrutto nelle giornate del 10-11 luglio. Alla fine di agosto quando il Comando fu assunto dal Col. Nicola Straziota, il “Settimo” era così schierato: X° Btg. nel caposaldo di Marsa el Hamra, con il Comando di Reggimento sul rovescio; XI° in secondo scaglione.

Seguono diverse puntate nemiche e, il 30 agosto, è il secondo tentativo di Rommel. Partendo dall’estremità meridionale del fronte, egli vorrebbe cadere sul rovescio dello schieramento britannico.Della colonna A fa parte il 7° Rgt. Bersaglieri; della colonna B il 9° Rgt.; della colonna C  l’8° Rgt. Sennonché, similmente al primo attacco, vengono a mancare sorpresa e carburante, non la rabbiosa reazione dell’aviazione e dell’artiglieria nemiche, specie contro le formazioni corazzate. Dopo tre giorni di vani sforzi e di perdite gravi, le colonne italo-tedesche rientrano nelle linee e assumono definitivo atteggiamento difensivo.

Il 1° settembre, le “fiamme cremisi” sono così ripartite: XXI° C.A.: 7° Rgt. Bers. --- XX° C.A.: 1 Compagnia moto; Div. Cor. “Ariete”: 8° Rgt. Bers.; Div. Cor. “Littorio”:12° Rgt. Bers.; Div. “Trieste”: VIII° Btg. Corazzato --- X° C.A.: 9° Rgt. Bers.

Si manifesta ormai fra le truppe italo-tedesche uno stato di scoraggiamento cui fa riscontro il pessimismi di Rommel. E’ sensazione diffusa che non granelli di sabbia, ma un deserto si sia interposto fra gli ingranaggi della macchina militare dell’Asse, regolandola. Consumi eccessivi e forze oscure, diaboliche, hanno reso precario il nostro impianto logistico.

Nel libro postumo di Rommel si legge: “I fusti di benzina provenienti dall’Italia sono per due terzi pieni d’acqua. E’ un vero e proprio sabotaggio. Vi sono in media da 50 a 60 litri d’acqua in ogni fusto…”. E Dino Campini, Comandante il IV° Btg. Carri M del 133° Rgt. corazzato: “I rifornimenti dall’Italia erano difficili e contribuivano a tubarli quanti si erano venduti al nemico. Il tradimento serpeggiava alle spalle. Il Governatore della Libia era stato sorpreso in contatto con gli inglesi. Dava notizie con una trasmittente e si uccise. Sempre Campini disse: “Altri traditori ci spedivano acqua invece di carburante. Molta acqua, molto onore!

Buono, invece, il morale e formidabile l’apparecchio dei Britannici. I quali, approfittando dello squilibrio delle forze, alle ore 20.40 del 23 ottobre, a luna piena, scatenano una impressionante offensiva annientatrice che ha pochi riscontri nella storia e che fanno precedere da inaudito bombardamento ai cui colpi non è possibile sfuggire. Basta un solo dato a dare la misura degli sterminati mezzi offensivi apprestati dal nemico per la sua manovra di rottura: il Comando Inglese aveva costituito nel settore nord un focolaio di artiglieria pesante con 15 Reggimenti, cioè circa 540 bocche da fuoco di calibro superiore ai 105 mm, oltre alle artiglierie delle truppe di posizione e di assalto. Si calcola che sul solo caposaldo del X° Btg. Bers. cadessero tra i proiettili di artiglieria e di mortaio un migliaio di colpi al secondo. Dopo dodici giorni di resistenza ai tentativi di sgretolamento condotti da scaglioni di fanteria, accompagnati da branchi di carri, l’azione impegna tutto il fronte: lotta mortale fra 69 Btgg., con 536 cannoni, 532 carri 36 autoblinde e 104 Btgg., 1200 bocche da fuoco fra le migliori al mondo, 1050 carri “Grant” e “Sherman”, 370 autoblinde e una grossa massa di rapidi cannoni controcarro e contraerei, appoggiati da 10.000 apparecchi moderni: Attraverso la breccia sono lanciate due Divisioni corazzate britanniche e una Divisione Neo-zelandese, la famosa “palla di fuoco”, che riversandosi in avanti ha ragione delle unità blindate tedesche e segna il destino delle forze italiane.

Il mattino del 2 novembre, infatti, dopo le formidabili premesse di più giorni di lotta demolitrice, il nemico scaraventa per 4 ore una valanga di bombe e di granate sulle sottili e sconvolte formazioni italo-tedesche, che per tanti giorni avevano contenuto, spezzato, respinto l’attacco di cui presagivano le conseguenze funeste. Segue un urto di potenti carri “Sherman” che sfonda e passa a sud della leggendaria quota 28, dilagando oltre la zona di schieramento delle artiglierie. E’ la rotta. L’Armata italo-tedesca è “in gran parte annientata come forza combattiva” (Churchill).

Quale il comportamento dei bersaglieri? Anche nella disperata battaglia dell’Egitto le “Fiamme Cremisi” si batterono con tutto il loro ardore; e furono in gran parte distrutte. Il 7°, in linea fra unità tedesche, pur sottoposto a schiacciante bombardamento, tenne fermo, nel tratto di fronte assegnatogli verso il mare, sotto l’eccellente guida del Col. Straziata, che poté fare sicuro assegnamento sul rendimento costante del Magg. Amodei e di tutti gli Ufficiali e bersaglieri, che non conobbe sgomento né resa anche quando sul punto di essere annientati. A Nord, il nemico riuscì ad aprire una breccia sul fronte della “Trento” e ad occupare quota 28, sì da costituire una testa di ponte ad ovest della fascia minata. Pericolo grave per tutto lo schieramento. Il Comando tedesco fece entrare il azione reparti della 15° Divisione Corazzata e reparti della “Littorio” da sud e da sud-est, mentre ordinava al 7° Bersaglieri di rioccupare, con l’XI° Btg., la importante q.28 attaccandola da ovest. Una tempesta di fuoco di mitragliatrici e di cannoni si rovesciò sull’XI° Btg. condotto superbamente dal Cap. Bernardo Pasqualini e animato dall’ardente parola e dall’esempio dello stesso Col. Straziota che della riconquista aveva fatto un punto d’onore. Nonostante i penosi vuoti inflitti da successive ondate di aerei che mitragliavano a bassa quota, i bersaglieri del “Settimo” poterono, finalmente, seppur con la perdita eroica del Capitano Gorla, Comandante della Compagnia avanzata, raggiungere e mantenere contro ogni immediato attacco le posizioni di q. 28. Nel bollettino di guerra N. 885 del 28 ottobre 1942 si legge: “. . . Una importante posizione contesa con particolare accanimento, è rimasta in nostre mani dopo aspri combattimenti”.

Il 28 mattina, i britannici sferrarono altri tre attacchi nel settore settentrionale e furono sempre respinti. I bombardieri martellarono incessantemente, per tutto il giorno…; verso le 21 il fuoco di centinaia di cannoni si concentrò sulle posizioni tenute dai nostri reparti ai margini di q. 28. Dopo un’ora, il nemico si lanciò all’assalto, aprendosi un varco tra due blocchi di campi minati. Per sei ore la lotta divampò con eccezionale violenza ed alla fine il II° Btg. del 125° Rgt. Fanteria Germanico e l’XI° Btg. Bersaglieri furono sopraffatti. Dei bersaglieri caddero prigionieri una ventina, fra i quali 15 gravemente feriti; tutti gli altri, restarono sul campo. Caduto il Cap. Melis; più di due terzi di subalterni e sottufficiali,morti o feriti; il Reggimento, rimasto con un Barragliene solo, riceveva ordine il 2 novembre di ripiegare. Quello della quota 28 di El Alamein fu proprio un episodio omerico. Esseri umani di più non avrebbero potuto rendere. E furono certo queste cruenti giornate che notevolmente contribuirono a far conferire al “Settimo” il più altro riconoscimento al valor militare.

                                                                      

Inquadrato nell’“Ariete”, l’8° Bersaglieri compì fino al 4 novembre, nella depressione di Bad el Cattara, prodigi di valore, spostandosi dove maggiore era il pericolo, nel tentativo di fare argine alla marea nemica. Anche dopo accerchiato, continuò a battersi con disperato accanimento, fino alla sua polverizzazione. Dei bersaglieri del “Settimo” e dell’“Ottavo”, un eroe della “Folgore”, il Conte Paolo Caccia Dominioni, scrisse:“. . . Ridotti a pochi nuclei sfiniti, carristi e bersaglieri della “Littorio” e dell’“Ariete” tentavano gli ultimi disperati contrattacchi e, accerchiati, comunicavano per radio che avrebbero continuato a resistere”.

Dell’VIII° Btg. Bers. Corazzato (40 autoblinde) parla la medaglia d’oro conferita al Serg. Magg. Gavioli Kruger, caduto il 18 luglio mentre con la sua macchina “caricava”, a quota 21, con la stessa intrepidezza del Capitano Giuseppe Albanese Ruffo, Comandante la 1° Compagnia dell’VIII°, già fregiato il 29 maggio della massima ricompensa contro munitissimi capisaldi di Got el Ualel protetti da impenetrabile sbarramento controcarro. Da tutto lo schieramento che brucia, decine di migliaia di anime elette salgono a un vero cielo di eroi lasciando le spoglie mortali alla sola cara, amorosa, pietosa, generosa cura del Conte Paolo Caccia Dominioni, che si assumerà, non appena sarà possibile, a conflitto concluso, il commovente compito di inquadrare in un esercito di croci, i nomi di piumati, di reparti, di Battaglioni, di Reggimenti, che, fermi sulle loro posizioni, si sono fatti distruggere pur di tener fede all’impegno di soldati.

Del 9° Rgt. (Col. Pomarici), che si era sistemato a capisaldi nella zona di Bad el Cattara, fa fede il Comandate della Div. “Trento”, Gen. Arturo Keellner: “… i resti del 9° Bersaglieri (non indivisionato), della “Trento”…, abbandonati dai Tedeschi, privi di viveri e acqua, sono stati travolti solo dopo aver esaurito le munizioni. I soldati italiani hanno compiuto il loro dovere, e meritano rispetto”.  Questo è il resoconto ciò che successe nella depressione di Bad el Cattara dove il 9° Rgt. Bersaglieri trovò gloriosa fine: “La notte del 26 ottobre 1942, la battaglia si riaccese violentissima, gli inglesi attaccarono con grande impeto, ma il Reggimento, composto da un solo Battaglione, sebbene in precarie condizioni, resistette valorosamente a tutti gli attacchi non cedendo un palmo di terreno, pur pagando duramente lo strenuo sforzo di tutti i suoi bersaglieri. Verso sera del 4 novembre il X° C.A. iniziava il ripiegamento, che era stato preceduto nei giorni 2 e 3 dal ripiegamento degli altri due Corpi d’Armata (XX° e XXI°), di circa 40 Km, sotto il continuo bombardamento aereo. In tal modo divenne precaria la posizione di Bad el Cattara presidiata dal 9°, che costituiva l’ala settentrionale del X° C.A., costringendo questi a ripiegare a sud delle posizioni più avanzate. In conseguenza nei giorni 3 e 4 la resistenza del 9° Bersaglieri assunse la massima importanza, perché impedì al nemico di aggirare da sud i due Corpi d’Armata in ripiegamento e protesse dalle offese dal nord il X° C.A.

Il mattino del 5 i reparti superstiti si schierarono a difesa in località “Passo del Carro” con il compito di impedire alle forze corazzate nemiche di tagliare la ritirata alle fanterie del X° C.A. Il 9° Bersaglieri, col suo unico Battaglione, eseguiva l’incarico con grande ardore combattivo rimanendo, pur condotti con indomito coraggio, a sua volta isolato, per la fuga degli alleati tedeschi che lo lasciarono senza viveri né acqua, ed i vari tentativi di rompere l’accerchiamento s’infrangevano contro la strapotenza avversaria: 100 carri armati “Sherman”. Termina qui, al “Passo del Carro” il 5 novembre 1942, la storia di gloria e sacrifico del 9° Reggimento Bersaglieri, travolto dal nemico solo dopo aver finito le munizioni.

Del XXIII° Btg. (Magg. Cavalieri) è testimone il Cap. carrista Dino Campini, il quale scrive che dei tre forti raggruppamenti italo-tedeschi che costituivano lo schieramento, “il più importante poggiava a cavallo di quota 33 di El Alamein ed era formato dal IV° Btg. Carri M, dall’8° Compagnia carri tedesca, da granatieri del 115° Rgt. Germanico, dal XXIII° Btg. Bersaglieri” e da tre gruppi d’artiglieria. “Su questi reparti si abbatté la maggior offesa …appoggiammo i nostri bersaglieri, coi cuori e coi cannoni. Il nostro fuoco disperse il contrattacco inglese …”. Su “La Patria”, Bonaventura Caloro soggiunse che “il più importante settore era quello del centro, costituito dalla Div. “Littorio”, col 12° Rgt. Bersaglieri, guidato dal Col. Amoroso (Medaglia d’oro in Spagna nel 1939), dal 133° Rgt. Carri , ecc.”.

Le “fiamme cremisi” dei Reggimenti 7°, 8°, 9°, 12° e dell’VIII° Btg. corazzato fecero dono della loro esistenza: dono perfetto. Fu così che anche dopo lo sfondamento del 4 novembre e l’ordine di ripiegamento generale, i superstiti continuarono a sacrificarsi nelle azioni di retroguardia.

Ordine di Berlino e di Roma era : “Morire sul posto”; ordine di Rommel fu: “Ripiegate gradualmente sul meridiano di Fuka”. Il condottiero tedesco confidava, oltre che nelle sue forze corazzate, nell’“Ariete”, la quale fu richiamata dall’ala destra, dove aveva, con la “Folgore”, fatto muro all’avanzata nemica.

Con le Div. “Ariete” e “Trieste” ricostituì il XX° C.A., che però fu presto accerchiato, nonostante lo strenuo combattere di bersaglieri e carristi. Travolte le Div. “Trento” e “Bologna”, anche le unità germaniche furono sopraffatte il 5 novembre sul ciglione di Fuka.

Condotta delle truppe italiane e tedesche, nonostante l’enorme inferiorità logistica, numerica e dell’armamento, degna dell’epica più che della storia. L’olocausto di uomini esposti a tutte le offese nemiche e che dall’amico hanno acqua se chiedono benzina e benzina se invocano acqua, ancor oggi colpisce e commuove.

La manovra di sfondamento è conclusa. Caduti 12.000 italiani. La ritirata dalle dune di El Alamein alle sabbie di Diserta, attraverso centinaia di Km infuocati, comincia. Ma, per le crudeli perdite, solo sparute unità riescono a muovere verso occidente ed a rompere, nella notte del 6 novembre, il contatto con l’“Armata del deserto”, non certo sollecita nel raccogliere tutti i frutti della vittoria e che è composta da scozzesi, neozelandesi, australiani, sudafricani, indiani, sudanesi, francesi, greci, polacchi.

A ripiegare verso la Tripolitania, è fra gli ultimi il 7° Rgt., di cui si sono salvati solo il Comando di reggimento, il X° Btg. ed elementi vari; ma a Tobruk troverà un Battaglione di complementi.

Marsa Matruk è abbandonata il 7 novembre e Passo Halfaya il 9, non essendo possibile imbastire una difesa sulla linea Halfaya-Sollum.

Devota al dovere, la Divisione Corazzata (si chiamava “corazzata”, ma non disponeva che di un solo reparto autoblindo), “Giovani fascisti” (2 Btgg. “GG.FF.”, 4 gruppi autocannoni e servizi), già dislocata nell’oasi di Siwa, riesce, percorrendo centinaia di Km di deserto e spingendo a braccia gli automezzi insabbiati, a raccogliere i presidi di Giarabub e di Gialo, rifornita solo, quando possibile, dall’aviazione. Il X° Btg. Bers. (Ten. Col. Turrisi), dislocato a Sidi Omar, dà sicurezza al deflusso verso nord-ovest dei GG.FF. e poi prosegue verso Bardia. Fino ad Agedabia sono 750 Km in 10 giorni, mentre le truppe in ritirata da El Alamein in 18 giorni percorrono 1200 Km. Il 13 novembre, sgombrate Tobruk, Sollum e Bardia; il 18 evacuata Bengasi; l’8 dicembre combattimento di Marsa el Brega; il 13 dicembre, abbandono d’El Agheila.

E’ la terza volta che, nel destino di questa guerra a fisarmonica, le truppe ritornano sui propri passi: Fra le unità di retroguardia non è più il 9°, per le considerevoli perdite ridotto ormai a scarsi elementi.

Troviamo, invece, il 7° Bersaglieri che, condotto con polso fermo e animo invitto dal Col. Straziota, sempre geloso della coesione organica e spirituale dei reparti ai suoi ordini, sostiene centinaia di Km di marcia nel deserto e combattimenti di retroguardia, superando con la forza d’animo che viene da un insuperabile spirito di Corpo e da una mai affievolita dignità di Patria, tutte le difficoltà derivanti dalla deficienza d’automezzi e dalla difficoltà di rifornimenti.

I bersaglieri non si danno per vinti e continuano a battersi in ritirata. Con provvida sollecitudine anche i superstiti dell’8° Bersaglieri, che da Neofilia fanno da retroguardia alle forze italo-tedesche, sotto l’impulso del Col. Gherardini riescono a riprendersi moralmente attraverso facili scontri con avanguardie nemiche ed a riorganizzarsi. La ritirata dei resti del glorioso “Dodicesimo” è condotta dal Magg. Cavalieri, nel quale il senso dell’Onore è alto quanto il senso del dovere.

Ma la situazione è disastrosa; disastrosa, soprattutto, per la nostra povertà d’automezzi e la supremazia aerea del nemico, il quale martella senza pietà nella desolata aperta piana. L’unica speranza risiede nelle truppe in arrivo dall’Italia; ma gran numero di piroscafi sono inabissati dal sempre più aggravato blocco.

Nel novembre, raggiungono per via aerea la Tripolitania il comando del 5° Bersaglieri, con i Btgg. XIV° e XXII°, mentre il XXIV° è già in Tunisia.

A metà dicembre, il 7° Rgt. si raccoglie nella zona di Tripoli. Si tratta dei residui della battaglia di El Alamein e della logorante ritirata: Compagnia Comando, X° e XI° Btgg., ricostituito quest’ultimo coni complementi ricevuti a Tobruk.

Per dar vita l’8° Rgt., pressoché annientato ad El Alamein e nella ritirata, si dispone che il “Settimo” ceda in blocco ad esso i suoi Btgg.: X° (Col. Turriti) e XI° (Ten. Col. Lonzu), i quali saranno raggiunti a Marsa el Brega dal LVII° Btg. (Magg. Bassi). Il 7° Bersaglieri, privato dei suoi Btgg. organici, dovrà ricostituirsi con superstiti di reparti disciolti e complementi. E’ così che, il 15 gennaio 1943, con i resti dell’VIII° Btg. Corazzato ed elementi diversi è composto XII° Btg. (Magg. Amodei), al quale si affianca il V° (Magg. Cavalieri), costituito anch’esso con i residui di varie unità. Intanto, avendo il nostro Comando Supremo deciso il ripiegamento in Tunisia, fuori della pressione nemica il movimento ha inizio il 6 dicembre e sarà ultimato il 29.

In quest’ultima fase, disperata più che drammatica, a un bersagliere, il Maresciallo Ettore Bastico, va il merito di aver saputo salvare, col minimo sacrifico di sangue, notevole aliquota delle forze italiane in ritirata. E’ di Rommel il riconoscimento: “In gran parte fu merito suo (del Maresciallo Bastico) se l’Armata poté giungere al Mareth senza lasciarvi troppe penne o immolarsi per un qualsiasi ordine di bruciare fino all’ultima cartuccia”.

Vediamo così, alla fine del 1942, le animose logore schiere riuscite a sottrarsi alla cattura ad El Alamein e impegnate poi nei combattimenti della Sirtica e sul Gebel, raccogliersi con quelle giunte dall’Italia fra Mareth-Kabili-Gabés.

Il 15 febbraio 1943 le truppe italiane (1° Armata) sono poste agli ordini del Generale (bersagliere) Giovanni Messe, che tanta fama aveva acquistato in Russia.

In ogni soldato di questa Armata sono vivi due sentimenti: amarezza per l’abbandono della Libia; fermezza di propositi per il riscatto. Minorata nei mezzi di lotta più che nel morale, l’Armata italiana deve opporsi alle provenienze da est, mentre la 5° Armata tedesca già fronteggia le forze alleate in Algeria e Marocco. Il gruppo di Armate (1° e 5°) è al comando, per alcuni giorni, di Rommel, poi del Generale Von Armin.

L’Armata “Messe”, “detentrice di tutte le tradizioni di dolori e di glorie trascorse sui campi di battaglia dell’Africa Settentrionale”, è costituita da due Corpi d’Armata che non hanno potuto rinsanguare del tutto le proprie stremate unità:

 

il XX° C.A., con le Div. “Giovani Fascisti (Gen. Sozzoni, dei Bersaglieri); “Trieste” (Gen. La Ferla, dei Bersaglieri) e 90° Rgt. Fanteria tedesca;

 

il XXI° C.A., con le Div. “Pistoia”, “Spezia” (Gen. Pizzolato, poi Scattini dei bersaglieri) e 164° Rgt. Fanteria tedesca.

Comprende inoltre: la 15° Div. Corazzata germanica, il Raggruppamento Sahariano, la 19° Div. Contraerei tedesca, un reparto esplorante e, all’inizio della battaglia del Mareth, la 21° Div. D.A.K. (Corpo corazzato tedesco d’Africa).

 La sua sfera di comando può estendersi, altresì, alla Div. Corazzata “Centauro” (nucleo essenziale 5° Rgt. Bersaglieri), che fa parte del XXX° C.A. italiano (a disposizione del Gen. Von Armin), il quale comprende anche la Div. “Superga” (Gen. Lorenzelli, dei bersaglieri) e il 10° Rgt. Bersaglieri.

I bersaglieri del 7° operano prima con la Div. “Centauro”, poi con la Div. “Giovani Fascisti”.

Alle dipendenze della 5° Armata tedesca agisce anche il LXX° Btg. bers. Motomitraglieri, il cui comandante, Magg. Lanzavecchia, sarà fulminato da una raffica nell’atto di cercare il contatto con gli Americani. Complessivamente, l’Armata “Messe” comprende circa 100.000 uomini, di cui una parte logora dalle precedenti tremende prove, l’altra del tutto nuova alla particolare guerra africana.

Rapporto fra l’armamento anglo-franco-americano e quello italo-tedesco: artiglierie: 2 a 1; aerei: 7 a 1; Carri armati: 6 a 1.

Per quel che riflette la 1° Armata, la difesa della Tunisia si svolge attraverso tre battaglie:

 

di Mareth-El Hamma, in cui l’offensiva nemica è in un primo tempo infranta, poi contenuta (16-30 marzo); segue nostra manovra in ritirata;

 

dell’Akarit-Chotts, nella quale l’8° Armata britannica ci costringe, bruciate le nostre ultime riserve, a ripiegare ancora (5-6 aprile);

 

di Enfidaville, che si effettua in due tempi:

 

 

nel primo (19-30 aprile), violenti attacchi nemici, stroncati da forze italo-tedesche;

 

nel secondo (9-13 maggio), capitolazione della 5° Armata tedesca e combattimenti dei gloriosi resti dell’Armata italiana su due fronti: contro i britannici che premono da est; contro gli anglo-americani che straripano da nord.

Valorosa la condotta dei Rgt. Bersaglieri 5°, 7°, 8° e 10° e reparti minori che, ovunque impiegati, generosamente concorrono nel tentativo di sventare il disegno nemico facendo muro sui capisaldi loro assegnati o su improvvisate postazioni.

Il Reggimento di bersaglieri primo a schierarsi in Tunisia fu il 10°. A novembre del 1942, esso era già dislocato nella zona di Diserta, a disposizione della 5° Armata tedesca. Era composto dai Btgg. XVI°, XXXIV e LXIII°, 2 Compagnie moto (10° e 10° bis), reparti di accompagnamento e controcarro. La sua prima brillante azione risale al 2 dicembre, quando reparti del XVI° catturarono un folto gruppo di paracadutisti inglesi e americani del Col. Raff, in un’ardita azione di rastrellamento nella zona di Donar Cheti, facendo meritare al Reggimento un encomio del comando della Divisione “Superga”.

Trasferimenti incessanti disarticolarono più volte il Reggimento e continue azioni esplorative, di resistenza, di contrattacco, lo dissanguarono. Alle dipendenze della Divisione tedesca “Manteuffel”, ebbe ordine di espugnare, all’alba del 26 febbraio, il Kef-Zilia a sud-est di Capo Serrat. Il terreno impervio rese assai ardua la lotta contro fuochi organizzati di truppe algerine. Ferito il Comandante del XXXIV° Btg., che aveva il compito più grave, il Comandante del Reggimento (Ten. Col. Latini), facendo perno sulle posizioni di Kef el Rai raggiunte dal XXXV° Btg., riprendeva l’attacco il 27, riuscendo a spazzare il Kef-Zilia e a mantenere il possesso nonostante i reiterati contrattacchi del nemico, costretto a un disordinato arretramento. Su questa posizione cadde il Ten. Francesco La Fata, più volte colpito da baionetta e decorato di Medaglia d’oro al V.M.. A titolo di riconoscimento, delle virtù eroiche dei bersaglieri, il Generale Manteuffel volle personalmente consegnare la Croce di Ferro Germanica al Comandante del Reggimento.

L’oscura lotta sostenuta dal 10° Reggimento contro truppe francesi di colore, battute sulla dorsale di Capo Serrat e sul Massiccio di Kef el Kebir, fu resa più ingrata dall’avere inopinatamente il Reggimento paracadutisti “Barentin” abbandonato la lotta, scoprendo a sud lo schieramento dei bersaglieri che per disimpegnarsi dovettero immolarsi senza misura, mentre i tedeschi, ripiegando, seminavano mine e interruzioni, non preoccupandosi delle retroguardie italiane che a prezzo di sangue avevano permesso il loro sganciamento.

Il “Decimo”, dopo aver contrastato tenacemente l’avanzata nemica, poté tuttavia raggiungere attraverso la boscaglia a nord della valle Sedjenane la nuova linea di difesa. Qui, i superstiti, riuniti in un solo Battaglione, continuarono a battersi con la Divisione “Manteuffel”, finché non furono raggiunti dai bersaglieri del 5° Rgt., provenienti dalla 1° Armata italiana, e dai marinai del Btg. “Grado”, già impegnato nel settore della Divisione “Superga”.

Ottimo il comportamento dei bersaglieri del 5° Rgt. alla loro prima prova. Il Comando del Reggimento ed i Btgg. XIV° e XXII   si erano trasferiti in gennaio a nord-ovest di Gabès (Tunisia), alle dipendenze della “Centauro”, mentre il XXIV° Btg. e la 5° Compagnia Bers. Motociclisti, sbarcati a Tunisi e Diserta l’11 dicembre, erano stati messi a disposizione della 5° Armata Tedesca.

Il Comandante di Rgt. (Col. Luigi Bonfatti), che ai primi di febbraio dispone del solo XIV° Btg. (Magg. Ceccotti), riceve l’ordine di portarsi al Km. 35 della rotabile Gabes-Gafsa, per partecipare all’azione controffensiva del D.A.K. contro le forze dell’8° Armata britannica le quali tentavano di avvolgere da sud lo schieramento della 1° Armata. Gafsa occupata tra l’entusiasmo degli indigeni: nemico in rotta; bersaglieri all’inseguimento; anche Ferina e Thelepte superate. Contro il passo di Kasserine, dove il nemico si è organizzato a difesa, è lanciato il Btg. di Ceccotti, appoggiato da un Gruppo da 65/17 e una Compagnia Cannoni. Nonostante l’impervio terreno e la fitta reazione di tutte le armi, dalla mitragliatrice al grosso calibro, la Compagnia del sempre valoroso Cap. Todaro, seguita da un’altra, riesce a conquistare l’obiettivo. “I soldati tedeschi presenti all’azione, presi da irrefrenabile entusiasmo, gridano: Bravi Bersaglieri, ciò che non fummo capaci di fare noi, lo avete fatto voi!

Il Btg. persevera nell’azione per qualche Km., ma poi, per non rimanere isolato, arretra. Di tale sosta approfitta il Col. Bonfatti che, conquistato il Passo di Diesel Zebbensi, intende rendersi personalmente conto della situazione, impedire al nemico il ripiegamento e collegarsi, possibilmente, con le truppe tedesche della colonna “Menton”. Salta in motocicletta e, con l’aiutante maggiore, un sottufficiale e un porta ordini, supera i propri reparti e si spinge sulla pista Kasserine-Tebessa. Una raffica proveniente dalla retroguardia nemica in ripiegamento lo fulmina e vane sono le ricerche per recuperarne la salma, la quale sarà ritrovata giorni dopo.

“La mattina del 21 febbraio 1943 – scrive il Gen. Rommel – mi recai sul posto di Kasserine…..Da Bulowins appresi che durante l’assalto lo slancio dei Bersaglieri aveva dato eccellenti risultati.Purtroppo il loro Colonnello era caduto in quell’azione”.

Il 21 marzo, al Ten. Col. De Juliis che lo sostituisce è fissato come obiettivo l’Uadi el Hatobe, che è occupato alle ora 4 del 22 dai bersaglieri, i quali hanno preceduto a piedi, portando a spalla le munizioni, cannoni da 47/32 di cui hanno fasciato, come alle artiglierie di Napoleone al Moncenisio, le ruote per non far rumore.

Il XIV° Btg. sta per prendere posizione, quando improvviso si manifesta un attacco di autoblinde, tosto seguito da una di grossi carri corazzati. Contro questi ultimi, nulla possono i nostri proiettili da 47, che rimbalzano sulle corazze. Si spera nell’esito favorevole della Colonna “Menton” contro il passo di Hamra; ma l’azione fallisce. E poiché le nostre perdite cominciano a farsi pesanti, all’imbrunire, il Btg. riceve l’ordine di ripiegare. Il nemico non ne dà il tempo: con mezzi aerei (i famosi “Squadroni bianchi”), corazzati e blindati si avventa sui bersaglieri che si difendono con intrepidezza, subendo perdite gravi. L’avere il nemico sospeso l’azione, favorisce i nostri reparti che rompono il contatto e, dopo qualche giorno, vanno a riordinarsi presso la propria base.

Schierando il grosso della sua Armata sulle posizioni di Mareth, fronte a sud, Messe ha deciso di sbarrare a Montgomery la porta naturale di accesso alla regione di Sfax, fra il mare e la regione degli chotts. Resistenza ad oltranza su quella linea che, prima di essere stata da noi smantellata in seguito all’armistizio del 1940, era pomposamente chiamata “La Maginot del deserto”. Però dispone che sia resa più efficiente anche la seconda linea di resistenza: lo sbarramento dell’Akarit. Intanto, il comando del 5° Bersaglieri è assunto dal Col. Ramondini il quale, con i resti del XIV° Btg. , ormai ridotto alla forza di una Compagnia, si porta il 13 marzo sul rovescio delle posizioni di El Guettar, dove è schierato, con la “Centauro”, il XXII° Btg., già impiegato sul fronte della 5° Armata. [L’altro Btg., il XXIV° (Magg. Testa), con la 5° Compagnia bers. motociclisti (Cap. Romagnoli), era dislocato nel settore di Kairouan (5° Armata), affidato al Generale (bersagliere) Arturo Benigni].

Dopo una nostra fallita azione offensiva, alla quale era venuta a mancare la sorpresa (non si sa ancora se – scrive Messe – “per indiscrezioni nostre, leggermente sfuggite in alto loco”), alle ore 20 del 16 marzo si pronunciarono i primi tentativi di “commandos” e sabotatori dell’8° Armata britannica. L’urto “del miglior strumento di guerra che abbia mai posseduto l’Impero Britannico” – come ebbe a definirlo in un proclama lo stesso Montgomery – che contava migliaia di aerei, cannoni, autoblinde, carri e decine di migliaia di automezzi, fu contemporaneo a quello del II° Corpo Americano, che aveva il compito di cadere sulle retrovie della 1° Armata, dopo aver travolto nella zona desertica di Gafsa, la “Centauro”. Una insidiosa manovra di attanagliamento rivolta contro l’Armata di Messe.

Ad El Guettar, nonostante il loro moderno ed esuberante armamento, gli americani “non riuscirono a progredire di un passo” e per dodici giornate “che valgono da sole tutta un’epopea” (Messe), furono annientati dal valore della “Centauro” che, su un fronte, di 70 Km, poté resistere anche per l’indomito valore del 5° Rgt. Bersaglieri. Solo il 31 marzo, quando la situazione è ristabilita dall’intervento di mezzi controcarro della 21° Divisione Corazzata tedesca, i superstiti della “Centauro”, riuniti in un Gruppo di combattimento affidato al valoroso Col. Ramondini, si affiancano alla 10° Divisione Corazzata Germanica. Ma, il 2 aprile, gli smilzi due Btgg. bers. (XIV° e XXII°) sono ancora “gettati nella fornace”. Poi, perdurando la schiacciante superiorità materiale dell’avversario, i sopravvissuti della “Centauro” ripiegano su Sfax.

Il XXIV° Btg. e la 5° Compagnia moto, già logorati da azioni svolte alle dipendenze della 5° Armata germanica, nella terza decade di gennaio avevano partecipato, con perdite, ad una azione offensiva nella zona di Halfa. Alla fine di Marzo, il XXIV° Btg., rinsanguato da complementi, e la 5° Compagnia moto, insieme a elementi del 10° Bersaglieri, costituiscono riserve mobili. L’8 di aprile, in seguito allo sfondamento di posizioni tenute dai tedeschi, il XXIV° è destinato a tamponare la falla. Dopo aver contenuto l’attacco di un Battaglione di marocchini, il Btg. ripiega su una linea più robusta, ma qui, l’11 aprile, è sopraffatto e, il 18, i 200 bersaglieri superstiti, condotti dall’avveduto valore del Magg. Rotelli, possono, con la 5° Compagnia moto (Cap. Romagnoli), ricongiungersi al Comando del Reggimento, arretrato il 3 aprile sulla linea di Enfidaville e passato anch’esso alle dipendenze della 1° Armata Italiana.

Anche il 7° Bersaglieri in azione. Il 15 di febbraio, vediamo il glorioso Reggimento già all’opera con la “Centauro”. In una missione esplorativa affidata alla 3° Compagnia del V° Btg. sulla strada Telepte-Tebessa, è ferito il Magg. Cavalieri, un Ufficiale di eccezione, un Comandante nato, che con esemplare coraggio e senso di responsabilità precedeva il Reparto. Agli ordini del Comandante di Reggimento (Col. Straziota) un’azione di forza è tentata dal XII° Btg. rinforzato verso Bu Scebca, al confine fra Tunisia ed Algeria; ma ostacoli passivi e sbarramento di artiglieria causano perdite così gravi che è giocoforza desistere. All’inizio della battaglia del Mareth, il Comando di Reggimento e il V° Btg., che ha rigettato a Gafsa un attacco di camionette e mezzi cingolati, sono sganciati dallo schieramento della “Centauro” e spostati nel settore dell’8° Reggimento Bersaglieri, alle dipendenze tattiche di quel Comandante. Dopo due ore di preparazione, alle ore 23 del 16 marzo, preponderanti forze britanniche sostenute da carri ingaggiano la prima battaglia di Tunisia. Si combatte nei giorni 17 e 18 senza che il nemico riesca a passare. La sera del 20, dopo un giorno di sosta, carri, fanti e fuoco di artiglieria investono i capisaldi tenuti dai Btgg. X° e XI° dell’8° Reggimento. Ed è qui che entra in azione il V° Btg. del 7° Bersaglieri.

Mirabile il comportamento della Divisione “Giovani Fascisti” o “Bersaglieri d’Africa”. Gli inglesi attaccarono alle ore 01.15 del 21 marzo. Precedute da una sconvolgente preparazione di artiglieria e mascherate da lanci di nebbiogeni, enormi masse, in gran parte corazzate, si avventarono contro la linea presidiata dalla Divisione, sulla quale gravitò l’urto, che si estese alle Divisioni “Trieste” e 90° Tedesca.

La Divisione “Giovani Fascisti” – scrive il Ten. Col. Giovanni Lonzu, provato Comandante dell’XI° Btg. Bers. – “era un formidabile complesso di cuori e di acciaio, formato da veementi bersaglieri dell’Ottavo, che avevano più volte assaporato l’ebbrezza della vittoria a El Mechili, Bir Hacheim, Tobruk, Marsa Matruk e ad El Alamein; dai giovanissimi eroi di Bir el Gobi, Ain el Gazala, Marsa el Brega, Antelat-*Sian, Buerat e Takrouna; dagli intrepidi fanti del IX° Btg., che al comando del Ten. Col. dei bersaglieri, Gelli, avevano riconquistato Giarabub e frantumato il nemico a Gialo; dai giovani e ardenti assaltatori del Battaglione “Ariano”, anelanti di finalmente battersi nella viva gloria della battaglia, e da mitraglieri, autoblindisti, artiglieri, genieri, guastatori e autieri, tutti combattenti meravigliosi”.

Fin dall’inizio della lotta, il maggiore accanimento si manifestò contro gli animosi bersaglieri del Col. Gherardini (Aiutante Maggiore, il Magg. Tullio Sturchio), che saldavano lo schieramento al mare. Sfidando valanghe di proiettili e di carri, l’Ottavo reagì all’italiana: bombe e baionette. Tutte le posizioni inviolate o riconquistate. Nella notte, ostinandosi nell’attacco, il nemico riuscì ad intaccare in qualche tratto il fronte difeso dai bersaglieri e dai “Giovani Fascisti”, “che subirono falcidie simili a quelle inflitte al nemico” (Messe), ma nella giornata del 22 un contrattacco della 15° Div. Corazzata tedesca e di reparti bersaglieri spazzò i britannici.

Per i capisaldi erano stati scelti nomi suggestivi: “Biancospino”, come fosse coronato davvero non da filo spinato, bensì da arboscelli pungenti di cui prendeva nome; “Larice”, ma non larice maschio dalle foglie caduche, bensì femmina, dalle foglie perenni, dai fiori color porpora e dal legname che mai si fende, sicché dicono essere eterno; “Tiglio”, anch’esso dalle foglie appuntite e dalla fibra dura e resistente, come la fibra della carne coriacea del bersagliere, che al dente non cede. Il “Biancospino” e il caposaldo “P.due” affidato al X° Btg.; “Larice” (“P.uno”) e “Tiglio” (“P.uno bis”) all’XI° Btg., mentre il LVII° Btg., passato il 18 marzo in 2° Scaglione, presidiava i capisaldi di “A.uno” e “A.due”, fra i quali stava il Comando di Reggimento. E, attraverso quei fortilizi resi incandescenti dallo spirito di Lamarmora, il nemico non passò.

Ma se i bersaglieri dell’8° Rgt. resistono, cedono di schianto due posizioni adiacenti, “Betulla “ e “Biancospino”, tenute da 5 Compagnie del Rgt. tedesco “Granatieri d’Africa”, ed il nemico può prendere di rovescio il caposaldo “Trifoglio” presidiato dal X° Btg., che è sommerso dopo furibonda lotta. Gli inglesi si gettano allora sul caposaldo dell’XI° Btg., ma il tentativo è infranto. Ai primi albori, al V° Btg. (riserva del XX° C.A.) è dato il compito di attaccare il caposaldo “Betulla”. Agli ordini del Cap. Givone, i nuclei fucilieri delle Compagnie 1° e 2°, pur sottoposti a tre ore di intenso fuoco di artiglieria e mortai, si lanciano contro le trincee nemiche a colpi di baionetta e bombe a mano tentano di impossessarsene. Ma sono annientati dal fuoco di mitragliatrici, artiglieria e pezzi di bordo di carri armati. Attori di episodi eroici sono pure due plotoni fucilieri della 3° Compagnia, trascinati dal Ten. Guindani, né il generoso sacrificio è sterile di risultati, poiché al nemico è inflitto un tempo di arresto.

Il mattino del 22, sopraffatto il caposaldo “Timo 2”, l’attaccante prova contro il “Timo 1”. E’ respinto. Nella stessa giornata la 15° Divisione corazzata germanica contrattacca e gli inglesi sono ricacciati dai capisaldi “Betulla”, “Trifoglio”, “Tamarindo” e “Timo 2”, mentre il “Biancospino” sarà rioccupato da arditi e “Giovani Fascisti” il giorno 24. Su questo importante settore, la reazione delle armi italiane aprì vuoti spaventosi nelle schiere nemiche, distruggendo numerosi carri. Per tre giorni – 21, 22, 23 marzo – incessante fu contro i bersaglieri dell’8° il martellamento delle artiglierie e l’urto dei mezzi corazzati. Tuttavia, ripetuti contrassalti del LVII° Btg. (Magg. Bassi) riuscirono ad infrangere ogni tentativo avversario anche ai capisaldi “A. uno” e “A. due” avvolti e isolati.

“L’XI° Btg. – ricorda il Ten. Col. Lonzu – era rimasto circondato per quattro giorni e quattro notti; ma, nonostante il gravissimo contributo di sangue, i continui ed esasperanti assalti e gli incessanti e terrificanti bombardamenti, non aveva ceduto al nemico né un uomo né un’arma né un palmo dei suoi sconvolti reticolati. Era quel Battaglione di prodi che occupava le posizioni più avanzate e che i comandi ed i commilitoni lontani, ammirati e commossi per tanta sublime dedizione, avevano denominato dei “Morituri del Mareth”, e del quale i commentatori della radio italiana di quel 26 marzo avevano detto al mondo: “Tanto epica e sovrumana fu la resistenza di quegli eroici bersaglieri che a tutti sembrò che anche i morti avessero fatto insormontabile barriera con i vivi!” Le perdite del Reggimento furono estremamente gravi; per fornire un’idea approssimativa di quanto fu rovente e disperata l’impari lotta è più che eloquente il fatto che l’XI° Btg. – additato all’ammirazione di tutta l’Armata italiana in Tunisia – nei quattro giorni consumò oltre centomila cartucce, circa duemila colpi da pezzo controcarro e più di duemila bombe a mano, ed ebbe quasi la metà degli uomini morti o feriti”.

La spaventosa lotta durò sei giorni. “Ammucchiati i cadaveri inglesi di fronte ai nostri capisaldi”; annientate Unità famose, come la “Brigata Guardie”, i Btgg. “Black Watch” e “Durham Light” delle Div. 30° e 51° ; ridotti in briciole I 50 carri della 23° Brigata Corazzata.

Il Maresciallo d’Italia Messe, commentando la sconfitta inglese scrive: “Nella battaglia di Mareth, le Divisioni italiane le quali costituivano i due terzi del XX° C.A., che ebbe a sopportare tutto il peso dell’attacco, combatterono con grande valore e magnifico slancio, superando in bravura i tedeschi…. Ben diverso epilogo avrebbe potuto avere l’azione (contrattacco della 15° Div. Cor. tedesca) se questa incrollabile barriera di punti di appoggio fosse caduta in mano al nemico… Tutte le truppe italiane tennero meraviglioso contegno, ma una parola di particolare elogio va all’eroico 8° Bersaglieri che superò se stesso”. E accennando al comportamento della truppa soggiunse: “Durante il furibondo attacco inglese alla posizione di resistenza della Div. “Giovani Fascisti”, episodi epici hanno perfino indotto l’Ufficiale di collegamento germanico presso il Comando del XX° C.A. a segnalare l’ammirazione dei reparti tedeschi che ne erano stati testimoni; gruppi di pochi uomini rimasti a sparuto presidio di capisaldi circondati dal nemico, esaurite le munizioni, rifiutano l’intimazione di resa e si difendono fino all’estremo a colpi di bombe; Ufficiali cadono alla testa delle formazioni d’assalto, dopo aver dichiarato: “O prendo l’obbiettivo o non ritorno”; capisaldi parzialmente sommersi declinano l’offerta di rinforzi alleati e ripristinano la situazione da soli con la lotta a corpo a corpo…: è, in definitiva, una vera pagina di gloria, degna delle migliori tradizioni dell’Esercito Italiano”.

Fu, appunto, per la sconfinata abnegazione dei suoi uomini, i quali tennero le proprie posizioni “oltre i limiti delle possibilità umane”, che l’8° Reggimento bersaglieri, “due volte sacrificatosi nell’estremo olocausto, due volte risorto”, uscì dall’atmosfera da Apocalisse del Mareth con un Battaglione di meno, il X°, e una seconda medaglia d’oro al valor militare collettivo. Medaglia che nel suo significato simbolico racchiude l’abnegazione di oscuri piccoli eroi, di tutte quelle “Fiamme Crèmisi” che - scrive il Ten. Col. Lonzu - “avevano combattuto con vigoroso accanimento e si erano generosamente prodigate in una disperata gara di tenacia e di ardimento dalla quale scaturirono in numeri episodi di fulgido eroismo.  E qui il cuore si volge memore e commosso a Berardi, da Genova, che fu unanimemente riconosciuto per “il leone del caposaldo Tiglio” e morì baciando una bandierina tricolore donatagli dalla mamma, e che, prima di spirare raccomandò di dire al suo piccolo Silvano di “amare sempre l’Italia e di fare il Bersagliere”; a Marani, siciliano, che esalò l’ultimo respiro canticchiando sommessamente una nenia alla sua bambina lontana; a Ranelli, abruzzese, che collezionò sette prigionieri presi nella morsa delle sue ferree mani e morendo rincuorò i commilitoni lacrimanti per lui, dicendo: “Su, non siate tristi, questa è la morte bella per un Bersagliere”; a Bassi, da Peschiera, magnifico Comandante del LVII Btg., che ormai circondato e senza scampo piuttosto che arrendersi gridò forte: “Morto si, vivo no!” e riuniti alcuni animosi si scagliò sugli assalitori ed a furia di bombe e di pugnale riuscì a liberarsi ed a raggiungere un caposaldo più arretrato; a Jattrino, da Ferrara, che col suo plotone sgominò una Compagnia che aveva accerchiato due nostre batterie; a Cioci, da Torino, che quando una ventata di granate gli asportò netto un piede, non profferì lamento ma disse solo: “Ho dato ben poco, ma spero che nel suo volo il mio piede abbia almeno incontrato un volto nemico!” (L’avere avuto un piede asportato da una granata nemica sul Mareth, non impedì al Cioci di guadagnarsi, un anno dopo, la Croce di ferro tedesca per il valore dimostrato nella Battaglia di Nettuno); A Ferrari, Ingeo, Angeletti, Corti, Buccarelli, Romano, Todeschini, Luppatelli, Rinaldi, Regis, Pastorino, Salerno, Pini, Gicca-Palli, Murtas, Ziccorelli, Vincitorio, Mugnone, Giovannelli, Lanti, Cappabianca, Casamassima, Staffieri, Scuderi, Guiso ed ai tantissimi altri caduti e sopravvissuti”.

Le posizioni affidate al nostro “impareggiabile soldato”, ristettero infrangibili anche nei successivi veementi attacchi sferrati a prezzo di sanguinose perdite e d’enorme consumo di munizioni: 100.000 colpi d’artiglieria e mezzo milione di bombe d’aeroplano. Sotto quell’uragano il nostro soldato rimase inchiodato alle armi, solidificato col terreno, senza bisogno delle cupole corazzate di Singapore. Ma se del vasto orizzonte della battaglia del Mareth non è facile seguire gli incessanti atti di valore dei bersaglieri, onesto è affermare che alla pienezza della vittoria non poco influì il fascino personale e l’eccezionale talento operativo di Giovanni Messe; il simbolo dei superstiti arditi nella Prima Guerra Mondiale, il vittorioso a 40 sottozero e a 40 soprazero nella Seconda Guerra Mondiale, nonché l’incitamento vivo e il fulgido esempio del Colonnello bersagliere Giuseppe Follini, Vice-Comandante della Divisione “Giovani - Fascisti”, più volte lanciatosi, con le sue sette medaglie d’argento, al contrassalto; la fede del Col. Gherardini, coraggioso come all’Ortigara e ad El Alamein; l’intrepidezza del Ten. Col. Giovanni Lonzu, Comandante dell’XI° Btg., fermo sull’inviolato “Larice” come una rupe della sua Sardegna, e la decisa condotta di tutti gli Ufficiali e gregari coinvolti nella Battaglia.

Pur essendo rimasto pressoché intatte le posizioni della 1° Armata, il Gen. Von Armin, per avvenimenti sfavorevoli nel nord tunisino (5° Armata), ordinava il 24 marzo a Messe, che – secondo i commenti inglesi – aveva “malmenato le unità britanniche in modo imprevisto”, di ripiegare sulla linea dell’Akarit. Il delicato movimento fu compiuto in quattro giorni, “con esattezza prodigiosa”: un’altra delusione per Montgomery! Anche i Reggimenti Bersaglieri ripiegarono ordinatamente fra il 25 e il 29 marzo.

Il 28 marzo, il V° Btg. è ritirato dalle linee ed avviato nella zona dell’Akarit. Resta a disposizione dell’8° Bersaglieri. Il 1° aprile, il Comandante del “Settimo” si porta al centro d’istruzione di Kelibia, dove è raggiunto dai superstiti del XII° Btg., che aveva anch’esso combattuto sulla fronte di Gafsa contro forze americane, facendosi massacrare piuttosto che cedere. Particolarmente risoluta la 7° Compagnia, comandata dal valoroso Ten. Cecconi: una cosa sola col suo reparto e col suo mitra. Questa Compagnia non solo si scrollò più volte da dosso il nemico, ma agguantò anche un centinaio di prigionieri.

Il 13 aprile, un Btg. di bersaglieri, ultimo giunto dall’Italia, èd dato in rinforzo alla Divisione “Pistoia”. Aveva così termine, dopo quindici giornate, la memorabile battaglia vittoriosamente combattuta sulla linea del Mareth e che a Churchill fece dichiarare ai Comuni: “La testa di ponte costituita a prezzo di sangue dall’8° Armata sulle posizioni nemiche, è stata eliminata dal contrattacco germanico”. Per il ferito orgoglio inglese era necessario dire al mondo che i grandi capitani di S.M. Britannica avevano avuto scacco matto non da Generaletti e truppaglia italiani, bensì dalla “Volpe del deserto” e dalle grandi Unità corazzate germaniche. Mascherate l’umiliazione con l’ala del mito.

La sanguinosa prova dell’Akarit e degli “Chotts” già in partenza non presentava fauste prospettive. Basti un dato: rapporto fra i carri armati: 16 contro 450.

Nella notte sul 6 aprile una sconvolgente preparazione d’artiglieria e d’aviazione annunciò l’attaccò. Lo sforzo principale, esercitato anche qui contro il XX° C.A., determinò nello schieramento della “Trieste” una pericolosa inflessione; ma l’intervento della 15° Div. corazzata turò la falla.

Seguirono reiterati attacchi sul fronte della “Spezia” e della 90° Div. tedesca, fino a che lo schieramento si spezzò. Gravi perdite subirono i bersaglieri, ma non inferiori a quelle inflitte all’attaccante. Nella relazione Ufficiale presentata nel febbraio 1948, il Maresciallo Alexander, riferendosi alla battaglia dell’Akarit, scrive: “La battaglia dell’Uadi Akarit durò solo un giorno, ma il combattimento fu descritto dal Gen. Montgomery come il più duro e il più selvaggio d’ogni altro dopo El Alamein. Attacchi e contrattacchi si scontrarono sulle colline e tanto i tedeschi quanto gli italiani dimostrarono una grande determinazione animata da un intatto morale”.

Dopo aver imposto al nemico un arresto di 24 ore, Messe ordinò di ripiegare sulle posizioni d’Enfidaville. A contatto del nemico furono lasciate delle retroguardie motorizzate, mentre lo sfilamento del grosso era garantito da bersaglieri piantatisi fra Sfax e Scusse. Si trattava dei “Bersaglieri d’Africa” di Sozzoni e di Follini, di cui era parte essenziale l’8° Bersaglieri di Gherardini, rinforzato quest’ultimo dall’ardore combattivo del V° Btg. del 7°, il cui Comando (ferito il 27 marzo il Cap. Pasquini) era stato assunto dal Magg. Ezio Greco, al quale fu affidata l’estrema ala sinistra (fronte a mare), mentre il XII° Btg. si schierava sul fronte di Gafsa.

Il ripiegamento dell’Akarit segnò per il “Settimo” gli ultimi sprazzi di vita e d’onore. Il 24 aprile, a Kelibia (Capo Bon), il Reggimento fu sciolto e il Magg. Greco, reduce da varie azioni valorose, passò a disposizione della Div. “Spezia” (Gen. Scattini [bersagliere]), della quale il Col. Straziota era stato nominato Vice-Comandante, mentre i resti del V° Btg. (4 subalterni e 80 bersaglieri) e del XII° Btg. (aiutante maggiore e 80 bersaglieri) furono incorporati nell’8°. Gocce d’olio ad una lampada che si estingue. Così finiva il 7° Reggimento, che in soli quattro mesi di campagna in Tunisia aveva perduto in combattimento il 60% della forza. Dopo 24 mesi di lotta nel deserto, “tre volte ricostituito”, il 7° era sciolto, ma una medaglia d’oro al valore collettivo premiava la costante sua abnegazione.

La lotta aveva ormai il destino segnato. Anche la 5° Armata tedesca in ritirata. “Le due Armate ripieganti, restringendo i loro fronti, marciavano verso la fine della loro esistenza… Nessuna fiamma animatrice avrebbe potuto alimentare lo spirito dei Comandi e delle truppe; un nemico strapotente incalzava da ogni parte e convergeva i suoi sforzi sul fronte; a tergo il mare; scarse le munizioni; nessun aiuto dal cielo e dalla terra…

La 1° Armata italiana, che pur ridotta agli avanzi di “pochi smilzi Battaglioni e sparute batterie” il nemico “apprezza e teme”, si va a schierare sulla terza linea di resistenza: Enfidaville.

Dal mare, il fronte dell’Asse è così imbastito: 90° Div. tedesca (estrema sinistra), Divisioni “Giovani Fascisti” (ancora abbastanza efficiente), “Trieste” (ridotta a due terzi), “Pistoia” (ridotta ad un terzo), 164° Div. tedesca, “Spezia” (quasi inesistente), elementi del D.A.K.. Sciolta la Div. Cor. “Centauro”. Due esausti reparti, il XXIV° Btg. bers. (Magg. Rotelli) e la 5° Compagnia moto, dopo varie cruente vicende nelle quali, quando a servizio dei Tedeschi, quando agli ordini del XXX° C.A., avevano svolto le più ardite ed estenuanti attività esplorative, di tamponamento, di contrattacco, contro americani, francesi, marocchini, solo il 18 aprile riescono a ricongiungersi con il Comando del 5° Rgt. Bersaglieri, alle dipendenze della 1° Armata. Con quegli scarsi avanzi, il Reggimento si ricostituisce su due Btgg.: XXII° e XXIV°, passando a far parte, con i suoi 500 uomini, della riserva d’Armata.

A quota 141, su capisaldi improvvisati, quali “frangiflutti proiettati oltre la posizione di resistenza”, è l’8° Bersaglieri, ridotto a due Btgg., il LVII° e l’XI° (Cap. Ronzoni). Altro generoso sangue è profuso; ma la Div. “Bersaglieri d’Africa” è più volte citata negli ultimi bollettini della guerra tunisina.

Alle 21.30 del 19 aprile, un tremendo tambureggiamento annuncia un nuovo attacco dell’8° Armata. Inizia la prima battaglia di Enfidaville. Anche qui l’urto maggiore contro le Divisioni “Giovani Fascisti” e “Trieste”. L’eroico I° Btg. del 66° Rgt. fanteria (Magg. Politi), rinforzato da 2 Compagnie di “Folgorini”, un reparto di granatieri e una ventina di tedeschi, resiste superbamente per due giorni a una Divisione neozelandese sull’impervio pilastro di Takrouna, su cui, il giorno avanti, il Bersagliere, Generale La Ferla, ha consegnato al Comandante del presidio, in nome della Patria, le bandiere italiana e tedesca. Nel complesso, un vero scacco è inflitto agli attaccanti. Accusa il colpo anche Radio Londra, la quale definisce la battaglia di Enfidaville come “la più dura che l’8° Armata abbia mai combattuto in Africa”.

Dopo l’episodio del Takrouna, il centro della lotta si sposta nel settore costiero. Protagonista la Div. “Giovani Fascisti” che “conferma la fama che si era conquistata in due anni di dura campagna d’Africa” (Messe). Alle prime luci del 25 aprile, la 2° Compagnia “Giovani Fascisti”, animata dall’ardore del Col. Follini (Alla fine della guerra sul petto del Vice-Comandante della Div. “Bersaglieri d’Africa”, Gen. Giuseppe Follini – Eroe di Passo Buole nel 1916 – sono l’Ordine militare di Savoia, sette medaglie d’argento, tre medaglie di bronzo e alcune croci di guerra, a parte le numerose ferite, due promozioni per merito di guerra e la Croce di ferro germanica.), attacca le opposte posizioni gettando il panico e arrecando sensibili perdite fra le file degli inglesi che abbandonano i propri trinceramenti. Ma poi ritornano più numerosi e più aggressivi che mai. Il cuore dei bersaglieri e dei “Giovani Fascisti” sopravvissuti non indulge alla disperazione; gli uni e gli altri non si lasciano sommergere; confusi con i loro morti, rimangono sulla quota 141 sin oltre la fine della battaglia, tanto da strappare parole di ammirazione al Comandante di Corpo d’Armata inglese che, dopo la resa, ebbe a domandare se quegli uomini non fossero dei “diavoli”. Ma se in un nembo di gloria scompare l’8° Bersaglieri – il Reggimento delle due medaglie d’oro – anche il nemico ha i suoi dolori: 4° Div. Indiana e 2° Neozelandese “fuori uso”. Due anni di cocenti sconfitte.

Benché più volte sorpreso dal tacito ripiegamento dei tedeschi, pagine di dedizione scrivono pure il 5° e il 10° Rgtt. Bersaglieri. Reduce dall’eroica resistenza di El Guettar-O. Alfaya con la Div. Cor. “Centauro”, nella notte sul 26, il 5° Bersaglieri è posto alle dipendenze della Div. Cor. “Manteuffel”. Il Reggimento, che il Gen. Messe vede partire con “vera angoscia” non essendo stato ancora rinsanguato dai bersaglieri del disciolto 7° Rgt., va a schierarsi coi resti del 10° Bersaglieri a occidente di Biserta, dove gli sarà sottratta dai tedeschi anche la Compagnia cannoni controcarro.

Contro la 5° Armata germanica, che pare conduca ormai le operazioni svogliatamente, il primo colpo è inferto nel settore costiero settentrionale, tenuto – ricorda il Maresciallo Messe – da un complesso raccogliticcio di reparti tedeschi di varia natura e provenienza. In esso sono stati incastrati appunto i residui del 5° (500 uomini) e del 10° Bersaglieri (8oo uomini). Entrambi i Reggimenti “si prodigano fino all’esaurimento”, fronteggiando il peso di combattimenti inadeguati e cercando di manovrare per non lasciarsi coinvolgere nel movimento retrogrado che lo sviluppo della lotta aveva imposto ai Reggimenti tedeschi vicini: movimento il più delle volte effettuato alla chetichella (come in Russia) e che i Comandi Germanici chiamavano “guerra elastica”, formula pleonastica di flagrante “abbandono di posizione”, spesso piantando gli italiani, ignari, in condizioni critiche:

Il 23 aprile, è lo sfondamento delle linee della 5° Armata. Sopraffatto dagli avvenimenti, il Generale Von Armin chiama a sé la 15° Div. Cor. ed il V° Btg. bersaglieri – uniche forze di riserva della 1° Armata – subito seguiti dalla 7° Div. Cor., senza riuscire, peraltro, ad arrestare il corso degli eventi. La sera del 30, pur ridotto ad una striminzita Compagnia fucilieri, il 5° Rgt., nel suo destino legato al 10° Rgt. (anch’esso della forza di una Compagnia), continua a battersi con accanimento per non farsi sommergere dal nemico dilagante in seguito all’inopinato ripiegamento delle vicine unità tedesche, ormai propense ad arrendersi. Irreparabile appare la sorte di tutti. (Negli ultimi giorni della battaglia tunisina, assunse il comando dei gloriosi resti dei Reggimenti 5° e 10° il Magg. Mario Romagnoli, che aveva già preso viva parte alla Campagna di Albania – Grecia – Jugoslavia).

Il 6 maggio, Von Armin ordina alla 1° Armata di resistere sul posto e alla 5° Armata di arretrare a ovest di Tunisi. Rinuncia alla lotta. Segue uno sbandamento della Goring, che rende ancor più convulsa la ritirata della 5° Armata, presa da collasso morale, mentre la 1° Armata viene a trovarsi col fianco destro scoperto. Avendo il Comandante del D.A.K. declinato l’invito rivoltogli dal Comando della 1° Armata di costituire un unico ridotto nel quale schierare tutte le forze dell’asse per l’estrema resistenza, Messe rinnova alle sue truppe la consegna di resistere sino all’ultimo uomo e dà tempestive disposizioni per combattere anche a fronte rovesciato. E’ la fine. Aviazione dell’Asse scomparsa; trasmissioni radio cessate; munizioni per bocche da fuoco esaurite nei depositi. In compenso, un diluvio di bombe e di granate sulla 1° Armata, che si restringe alla base della penisola di Capo Bon. Ma, nonostante il bombardamento torrenziale e lo spettacolo delle truppe tedesche sbandate che volano con ogni mezzo verso il Capo Bon nella illusione di potersi imbarcare, i soldati italiani conservano “contegno mirabile per disciplina e dignità”.

Caduta la difesa tedesca alla stretta di Hamman Lif, la 1° Armata può dirsi ormai accerchiata. Tuttavia, la lotta durerà ancora tre giorni. Siamo alla seconda battaglia di Enfidaville. La 5° armata tedesca, che aveva finito col raccogliersi attorno a Diserta, si era arresa il 9 maggio. Il suo comando e quello del D.A.K., si erano però affiancati al Comando della 1° Armata, resistendo fino alle ore 18 dell’11 maggio. Ma – come ricorda il Maresciallo Messe – “gli elementi italiani inseriti in quell’Armata (5°), costituiti dal Reggimento “San Marco” e dai resti del 5° e 10° Rgtt. Bersaglieri, decidevano di proseguire la lotta dopo la resa dei tedeschi e continuarono a combattere fino ad esaurimento delle munizioni”.

Alle ore 19 del 10 maggio, lo sbarramento mobile sulla linea Grombalia- Hammamet, affidata dal Gen. Messe al Raggruppamento Esploratore Corazzato “Lodi”, rinforzato da un Btg. bersaglieri motomitraglieri, viene a contatto di forze corazzate americane e le respinge. Autorizzata a ripiegare, la formazione continua a coprire sul tergo lo schieramento della 1° Armata. Il giorno 11, intanto che le Divisioni 15° tedesca, “Manteuffel” e “Goring”depongono le armi, il Col. Lequio, con il “Lodi”e bersaglieri motomitraglieri, si batte a nord-ovest di Bou-Ficha, assolvendo ancora il compito di retroguardia dell’Armata italiana. Alle 18, Von Armin si consegna al nemico; nella notte si arrende il D.A.K. I tedeschi non sparano più. A chiudere il “ridotto” sul lato ovest, sono allora i resti della Div. “Spezia”, condotti dal Bersagliere, Gen. Arturo Scattini.

Il giorno 12, aumenta sul fronte sud la pressione nemica; anche la 90° Div. tedesca è in preda a collasso. “Lodi” e motomitraglieri, sotto la inarrestabile spinta degli Americani e degli avvenimenti, ripiegano e si schierano sul lato nord del “Ridotto”. Nel pomeriggio crolla pure la 90° Div. leggera tedesca. La battaglia si spegne. L’ultimo cannone rimasto a tuonare è italiano, l’ultima bandiera ammainata è il tricolore. “Ultima e sola”rimane l’Armata del Bersagliere Messe che per vincere la guerra si sarebbe alleato anche col diavolo. Alle 19.30 ordine del Comando Supremo: “Cessate il combattimento”. Alle ore 13 del 13 maggio 1943, quel che rimane della 1° Armata italiana abbassa le armi. Spenti tutti i fuochi e fine delle operazioni in Africa Settentrionale.

Così il Magg. Mario Romagnoli, ultimo Comandante dei resti del 5° e 10° Rgtt. Bersaglieri racconta la sua resa e quella dei suoi uomini: “… La resa fu degna delle nostre tradizioni. Il nemico (truppe americane) inviò un parlamentare con bandiera bianca, accompagnato da un Ufficiale tedesco con l’ordine di resa emanato dal Comandante della piazza di Biserta. Ero in posizione con i superstiti di due Reggimenti, circa 600 uomini, su di una piccola quota. Il parlamentare mi invitò ad andare da lui. Rifiutai. Se voleva parlarmi doveva venire lui da me. Venne. Mi intimò la resa mostrandomi l’ordine del Generale Comandante la piazza di Diserta. Rifiutai la resa incondizionata ed esposi le mie condizioni. Il parlamentare se ne andò. Riunii i bersaglieri, feci loro un breve discorso. Lacerai la bandiera, dopo averla fatta baciare agli Ufficiali e ne distribuii un pezzetto ciascuno. Il parlamentare tornò. Quanto avevo richiesto fu concesso. Potei far distruggere le armi. Entrammo nelle file nemiche in perfetto ordine: 4 motociclisti, la mia macchina con l’Aiutante Maggiore Tenente Ercolani e il cappellano. Una colonna di camion miei, nascosti e salvati dall’offensiva nemica, con tutti i bersaglieri, fiancheggiata dai miei motociclisti. Così, in un deserto africano sfilai alla testa dei miei bersaglieri davanti ai nemici che, irrigiditi sull’attenti, presentarono le armi. … Raggiunsi il campo di concentramento di Moteur…i miei bersaglieri furono posti in un recinto isolato e poterono provvedere al servizio di ordine e vettovagliamento con i miei Ufficiali. Un Generale americano mi espresse il suo compiacimento per l’ordine e la disciplina dei miei uomini. Dopo tre giorni fummo divisi. Così finì la guerra tunisina sul fronte di Biserta”.

 

 

All’esemplare condotta tattica e allo smagliante contegno dell’Armata italiana in Tunisia ben si attagliano le parole rivolte da Messe al Gen. Alexander, a commento di uno scritto del Maresciallo inglese, apparso sulla “London Gazete”: “Per quaranta mesi, ininterrottamente, anche quando ogni speranza di vittoria era sparita da un pezzo, Ufficiali d’ogni grado e soldati avevano dimostrato, specialmente di fronte agli inglesi, che quando non potevano vincere, sapevano eroicamente morire”. Ma anche gli inglesi finirono col manifestare la loro ammirazione per l’Armata italiana in Tunisia.Radio Londra del 10 maggio e dell’11 mattina, comunicava: “I soldati della 1° Armata possono essere sicuri che saranno trattati da valorosi, come da valorosi sono stati trattati tutti gli atri soldati italiani che troveranno nei campi di concentramento”. Nel “Times” del 15 maggio, si legge: “…Molte unità italiane hanno meritato il rispetto delle truppe britanniche per lo spirito combattivo dimostrato …”.

Sul comportamento del nostro soldato, così si esprime Lord Stravolgi: “Due cose sono da notare in questa rotta dell’Asse: prima di tutto che alla fine, quando le sorti della battaglia si svolgevano rapidamente a sfavore dell’Asse, gli italiani si battevano meglio dei tedeschi. Il morale dei tedeschi era completamente crollato verso la fine della Campagna. Reparti tedeschi bene armati, con molti viveri e munizioni, si arresero in forti posizioni difensive dove avrebbero potuto resistere anche per molti giorni”; ed ancora: “Come abbiamo visto, i soldati italiani, agli ordini del Gen. Messe, si erano tenuti saldamente insieme ed avevano combattuto con accanimento…”.

Nel rapporto ufficiale della Campagna di Tunisia, trattando della prima battaglia d’Enfidaville, lo stesso Maresciallo Alexander, appartenente a quell’enorme numero d’inglesi che nei secoli hanno avuto l’abilità di essere in odio a tutti, giunge ad uguale conclusione: “Il nemico contrattaccò continuamente e a prezzo di durissime perdite… Fu notato che gli italiani combattevano particolarmente bene, superando i tedeschi che erano in linea con loro”. E più avanti: … il 12 maggio 1943 si verificarono rese in massa (dei tedeschi). … Il Gen. Von Armin, Comandante del Gruppo d’Armate, si arrese al Comandante del 2° Gurkas… Gli italiani… resistettero più al lungo ed il Gen. Messe ritardò la sua resa fino al mattino del 13”.

I Reggimenti bersaglieri, legati fra loro da una coerente, unitaria spiritualità, si scioglievano, così, nel vivido fuoco dell’ultima battaglia combattuta per la difesa dei nostri territori dell’Africa, d a mezzo secolo invidiati e insidiati dall’Inghilterra. A coronamento del comune totale sacrifico, alle “Fiamme Crèmisi” tre medaglie d’oro al valor collettivo. Con labili schieramenti e armi venerande, in tre anni di lotta compirono titaniche gesta. Nell’arsura e nell’aspro, la volontà tesa come arco in difesa, l’ala dell’elmetto in gara con l’ala dei venti nell’attacco, mai furono visti bersaglieri in fuga, neppure quando, nudi come il deserto, furono assaliti da un numero sterminato di “Sherman” e di “Hurricane”, neppure quando, fatti bersaglio a disintegrante fuoco dalla terra, dal mare, dal cielo, ogni buca era inferno ed il combattere follia. Dopo tante giornate di gran costanza, contrassalti con l’eterna baionetta sono ancora sferrati da pugni di bersaglieri, che hanno deciso di battersi fino all’ultimo fiato. Tutte le forze e tutte le speranze gettate nel rogo.

E come le tigri, che ferite e ingabbiate divengono più terribili e il disperato dibattersi ne prolunga l’agonia, i bersaglieri, ridotti a reliquie e rinserrati in un lembo di terra incessantemente arato dalla morte, confermano l’abbagliante tradizione di un Corpo la cui virtù più si esaspera e meglio si rivela nella disgrazia. Trentacinque mesi di sabbia e di coraggio, si risolvono in un lago di sangue, in un volo di melanconiche piume e d’oneste illusioni.

13 maggio 1943: giorno di dolore. Cuori e piumetti non palpitano più alla mistica speranza. E’ la fine. La nostra fine. Da quel dì, in Africa, il nome d’Italia scompare. Però mai sarà tolto dall’animo nostro e dalla storia della civiltà il ricordo delle opere compiute dal popolo italiano nelle terre che gli sono state rapite, rapinate e dall’inflessibile sentimento dell’onore manifestato, dall’Egitto alla Tunisia, dalla fanteria piumata: fanteria senza sconfitta e senza scampo.

Il Feldmaresciallo Rommel, giudice insuperabile di soldati, rifacendosi al meraviglioso comportamento dei Reggimenti Bersaglieri nella più cruenta storia dei secoli, ebbe parole che, senza sbavature retoriche, aureolano di gloria di figli di Lamarmora: “Il soldato tedesco ha stupito il mondo; il Bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco”. Ma, purtroppo, non sempre il valore vince il destino.

Centinaia di croci piumate, disseminate nel desertico scacchiere nord-africano ci ricordano quei ragazzi che corsero nel vento, che cantarono disperati il loro destino con voce impastata di sole e di giovinezza. Per quei ragazzi che si spensero di corsa e che oggi riposano negl’incantati giardini del silenzio, sia il nostro pensiero come una carezza dolce che accompagni la loro magica e struggente solitudine.

 

 

A conclusione di questo mio lavoro voglio citare le parole di Theodoro Moller, Storico inglese della Campagna d’Africa:

“Nessun soldato al mondo è mai riuscito e mai riuscirà a fare quello che i bersaglieri hanno fatto. Fantasmi sembravano nel passare al contrattacco. Senza mezzi, con le loro sole mani ed un pezzo di baionetta . . .  e ci hanno respinto.

Questa è la verità. Noi con i carri armati che ci coprivano, loro allo scoperto . . . e ci hanno respinti. Se avessero avuto i nostri mezzi ci avrebbero rovesciati come guanti.

 

 

Un Bersagliere

 

 

16 Agosto 2008 / v06

 

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